Arene

Bagattelle per un massacro

Adriano Romualdi

C’è però un punto sul quale non è ammessa nessuna bagattellizzazione. Nessun dubbio, nessuna incertezza, nessun dialogo. I Tedeschi di là dal muro possono andarsene definitivamente a quel paese, così come i Belgi nel Congo, i Francesi in Algeria, gli Italiani in Libia. Ma quelli non si toccano. Quelli sono santi, inviolabili, intoccabili.

Come toccano quelli, come la fiamma della guerra fredda incomincia a scottare nei paraggi del loro sedere, l’intero Occidente insorge. Insorgono Ricciardetto e Montanelli. Tuonano “La Stampa”, “Il Corriere della Sera”, “La Voce Repubblicana”. Tuona a destra “Il Tempo”, da sinistra “L’Umanità” risponde. Come una colomba spaventata, Golda Meir vola negli Stati Uniti. A New York, i correligionari la omaggiano. Il patto è stretto. Si abbracciano, si baciano, si annusano. Che biblica visione! Che profili! Che effluvii! Che nasi! Ed ecco, Nixon accorre nel Mediterraneo. La VI Flotta è sul piede di guerra. I marines aspettano con l’arma al piede. Tutto è pronto. L’ala marciante della stampa americana, quella stessa che conduce un’assidua campagna contro la guerra del Vietnam, diventa improvvisamente bellicista, militarista. Il senatore Mitchell, il noto pacifista, vuole improvvisamente armi, e armi, più armi … per Israele. I Kohn, i Davidson, i Lyons, i Rabbinovitch, i Sulzberger, i Blumberg, i Gottlieb, i Weil, gli Isaacs -i giornalisti kennedyani dai grossi nasi e dalle spesse lenti- si scoprono d’un tratto più guerrafondai del Pentagono. Le colombe si mutano in falchi. Anzi, in leoni. Anche la stampa nostrana riscopre palpiti sconosciuti. Ha appena finito di spiegare ai suoi lettori che, dopotutto, se gli Italiani vengono cacciati dalla Libia, è colpa del fascismo, che – comunque – non è il caso di prendersela, ed ecco, all’improvviso, fa fuoco e fiamme. La quarta sponda (quella tra Haifa e Tel Aviv) non si molla! Anche la destra dal suo angolino agita la sua piccola bandierina israeliana. Ma si sa, la destra è coccardiera … Una coccarda, una bandiera qualunque, non importa quale .. Una coccarda e un evviva: viva il Duce! Viva De Gaulle! Viva De Lorenzo! Viva la Polizia! Viva i Pompieri! Viva i Prefetti! Viva Mosè Dayan!

* * *

E intanto si compie il massacro della politica occidentale nel Mediterraneo.

La politica di appoggio ad Israele ci ha aizzato contro 100 milioni di Arabi.

L’incendio si è propagato dalla Palestina all’Egitto, dall’Egitto all’Irak, dall’Irak all’Algeria, dall’Algeria alla Libia. (…) Ma noi siamo rapiti in ammirazione. Come sono bravi gli Israeliani! Come sono buone le loro arance! Come sono belli i loro nasi! E Golda Meir, che cara vecchietta delle favole … E Mosè Dayan, che stratega! Altro che Rommel! Altro che Giulio Cesare! E intanto il mondo arabo prende fuoco. Contro l’Occidente. Contro l’Europa. (…) Ma noi siamo per quelli. Al fianco di quelli. Fino alla morte. Fino al suicidio. Siamo con quelli perché la nostra propaganda, il nostro cinema, i nostri libri ci han convinto per l’eternità che quelli sono i buoni, i santi, i martiri per eccellenza. Essi soli sono stati perseguitati. Essi soli sono morti. Certo, è vero, ci sono stati anche tre o quattro milioni di Tedeschi annientati tra il Memel e l’Elba, una ventina di milioni di vittime della rivoluzione russa, un quattro o cinque milioni di borghesi liquidati nei paesi dell’Europa Orientale, e poi ci sono gli Estoni, i Lettoni, i Lituani, i Tartari della Crimea, i Tedeschi del Volga etc. Ma questi non contano. Perché i morti di quelli sono più morti. Due o tre volte magari, perché li ricontassero. E poi, cosa saremmo noi, poveri goijm, senza quelli? Tutto ci han dato quelli: Siegmund Freud e Gesù Cristo, Carlo Marx e Carlo Levi, Charlie Chaplin e Arnoldo Foà e Shylok, Süs l’Ebreo, Einstein, Oppenheimer, i Rotschild, i Finzi Contini, il lamento di Portnoy, il diario di Anna Frank, il padre di Anna Frank, e lo zio di Anna Frank, e l’amministratore del padre di Anna Frank…

Quelli si che ci san fare! I loro aranci sono più buoni dei nostri. I loro morti sono più morti dei nostri. I loro nasi sono più belli dei nostri.

* * *

Certo, adesso anche per quelli va maluccio. (…) E anche nell’Europa Orientale le cose volgono al peggio. Finiti i tempi del primo dopoguerra, dove in Ungheria, Romania, Polonia, ebreo e comunista erano sinonimi, e la Russia dava il suo appoggio alla creazione dello Stato d’Israele. Anche là adesso tira una brutt’aria. Gli sforzi dei Daniel, dei Ginzburg, dei Garaudy per la creazione di un nuovo socialismo non han sortito l’effetto sperato. Si voleva un socialismo più cosmopolita, più aperto a taluni fermenti etnici, a talune correnti intellettuali, un socialismo ispirato più a Leone Davidovic Bronstein, detto Trotzski, che non a Giuseppe Djusgavili, detto Stalin. Un socialismo con un orecchio per le poesie di Allen Ginsberg e uno per l’economia di Ota Sik… Un socialismo col volto umano. Un socialismo col naso umano… Ma è andata male. In Polonia e altrove è subentrata la “repressione antisionista”. Gli intellettuali se la passano male adesso. E anche il Blitzkrieg del ’67 si va rilevando, col passare degli anni, una brutta trappola. L’esercito israeliano affonda nelle sabbie mobili di un milione di profughi. Finiti i tempi degli assalti convenzionali alla Nasser, è cominciata la guerra strisciante, le piraterie di Arafat, di Habache, dei giovani turchi della guerra rivoluzionaria.

Tempi duri per Israele. Bene o male, anch’essa è un pezzo d’Occidente. Un pezzo d’Europa o d’America costruito sulle rive orientali del Mediterraneo. è una posizione avanzata dell’Occidente. Un avamposto dell’uomo bianco. Ma gli avamposti dell’uomo bianco oggi vacillano. Ma, guarda caso, quando questa posizione avanzata si chiamava Algeria, nessuno si scomodava. Anzi, ci chiamavano fascisti, complici dei torturatori, dell’OAS. Che il FLN sgozzasse migliaia di francesi e di algerini andava loro benissimo. Benissimo che un milione di Francesi fosse espulso dalla quarta sponda. Ma adesso è un’altra cosa. Ben altri interessi sono in gioco che non la povera pelle di poveri Europei. Ora sono in gioco le sorti del popolo eletto. E, per quelli, Ricciardetto e Montanelli, il “New York Times” e il clan dei Kennedy, la jena ridens Willy Brandt e i facoceri socialdemocratici di casa nostra sarebbero pronti persino alla guerra. Alla guerra mondiale. Per l’Ungheria no. Per l’Algeria no. Per la Cecoslovacchia no. Per Berlino no. Ma per quelli sì. Son pronti alla morte. Pronti a morire per quelli. A morire per il naso di quelli.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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