Derive e Approdi

Addio a Revel, coscienza scomoda della Francia

Andrea Lavazza, Avvenire

“Meglio avere torto con Sartre che ragione con Aron”, gridavano gli studenti del maggio parigino. E a Jean-François Revel – giornalista, intellettuale, accademico di Francia, scomparso all’eta di 82 anni nella notte fra sabato e domenica – è toccata spesso la sorte dell’amico politologo. Del filosofo acclamato dalla sinistra invece diceva: “Perché il fondatore della rivista ‘Les Temps modernes’ non ha compreso per nulla il suo tempo?”.

J.F. RevelNecrologi di circostanza hanno accompagnato la sua scomparsa, compreso quello del ministro della Cultura di un governo che anche ideologicamente non dovrebbe essergli lontano: “Un uomo libero, testimone e attore del suo tempo”. Ma il suo carattere lo aveva sempre spinto a non cercare posizioni accomodanti: nell’ultima intervista disse senza mezzi termini che per le prossime presidenziali non si può escludere un ballottaggio tra Bové e Le Pen, due estremismi, a sinistra e a destra, accomunati dalla retorica antiliberale cui, a suo parere, anche i moderati francesi indulgono eccessivamente. “Ecco dov’è arrivato il Paese di Benjamin Constant, di Tocqueville e Raymond Aron!”, commentava con amarezza.

Anche il suo libro più recente, uscito quattro anni fa, sembrava fatto apposta per attirarsi le antipatie di quella che doveva essere la sua “parte” di elezione. L’ossessione antiamericana (Lindau editore) accusava infatti la Francia, proprio alla vigilia dello scontro Parigi-Washington sulla guerra contro Saddam, di aver scelto pregiudizialmente un idealismo lontano dalla concretezza Usa e lui, non certo un neo-con, era passato per un avvocato di Bush e della sua politica.

In realtà, Jean-François Ricard (rinunciò al suo vero nome per un pseudonimo mutuato da un ristorante della capitale) non badò mai alle convenienze nella sua carriera di polemista. Nato a Marsiglia nel 1924, partecipò alla Resistenza e, dopo gli studi di filosofia all’Ecole normale supérieure, insegnò all’estero (per sei anni a Firenze, dove nacque un pamphlet corrosivo dedicato all’Italia, che amava e per questo fustigava) poi di nuovo in patria, a Lione.

J.F. RevelNel 1957 l’esordio in saggistica con un volume sul ruolo dei pensatori. La carriera giornalistica andava di pari passo con la sua vena di intellettuale critico di tutte le ortodossie. Tentato dal socialismo riformista, appoggiò il primo Mitterrand (in nome dell’onestà professionale difese una copertina ritenuta denigratoria da Giscard e si dimise dalla direzione del settimanale L’Express nel 1981) per diventarne in seguito aspro critico (La Grazia dello Stato fu l’opera dello strappo). A lungo commentatore dell’altro grande news-magazine d’oltralpe, Le Point, la notorietà internazionale gli arrivò con Né Marx, né Gesù, opera del 1970, seguita da La tentazione totalitaria (1976), Come finiscono le democrazie (1983) e La conoscenza inutile (1988).

Il filo conduttore della sua vena (“Alzare la voce, trovare ciò che susciti l’attenzione del lettore, essere coerente nell’argomentazione, rifiutare l’invettiva umorale”) era l’avversione per il comunismo prima e il conformismo di sinistra successivamente, il politically correct dei salotti e dell’intellighenzia, che pontifica e si spartisce i posti di potere, senza mai pagare dazio per gli errori, le false previsioni e i pregiudizi sparsi a piene mani. Un liberale rigoroso, un individualista solitario, una voce che anche da noi, con gli articoli pubblicati sul Giornale di Indro Montanelli, contribuì a muovere le acque e a mettere in crisi la vulgata marxista, di volta in volta abbellita per farle superare le smentite della storia.

Imbevuto del razionalismo francese, fu chiuso alla religione e non vide a sufficienza la forza liberante del cristianesimo rispetto ai totalitarismi politici. Tuttavia, l’esperienza di un figlio divenuto monaco buddhista lo spinse alla fine a confrontarsi con il bisogno di spiritualità in volume a quattro mani (Il monaco e il filosofo). Resta vivo il suo monito a non cedere a mode e conformismi, per mantenere quell’indipendenza di pensiero che è strada maestra alla verità.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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