Derive e Approdi

Maestri della Destra: Joseph de Maistre

Julius Evola (Il Conciliatore, Novembre 1972)

Joseph De MaistreL’editore Rusconi, che sta svolgendo una attività meritoria nello stampare una serie di opere costituenti un nutrimento prezioso per una cultura di Destra, recentemente ha fatto uscire una nuova edizione della Serate di Pietroburgo di Joseph de Maistre, curata da Alfredo Cattabiani. è questa, l’opera più conosciuta di de Maistre. In essa, però, i riferimenti diretti al domino politico, nel quale de Maistre vale come un “reazionario”, sono più scarsi che in altri suoi scritti. Infatti vi si trovano sopratutto considerazioni su problemi morali e religiosi, e lo stesso sottotitolo del libro “Colloqui sul governo temporale della Provvidenza” indica questa linea di pensiero, che per noi non presenta troppo interesse. Presupponendo appunto l’esistenza di una Provvidenza concepita in termini moraleggianti, de Maistre affronta il problema di conciliarla con lo spettacolo che il mondo e la storia nella loro fattualità ci presentano: malvagità che non sono punite, virtù che non hanno avuto nessuna ricompensa, e via dicendo.

Non si può dire che la soluzioni di tale problema, proposte da de Maistre, siano del tutto convincenti, e ci sembra un ripiego l’idea di una giustizia divina che procrastinerebbe soltano le sue sanzioni (come appoggio, in appendice al suo libro de Maistre ha tradotto un trattato di Plutarco che s’intitola appunto De sera numinis vindicta). Però lo stesso de Maistre giunge ad una veduta più libera e soddisfacente quando paragona i mali e le contingenze che piovono su tutto il genere umano alle pallottole che in guerra colpiscono un esercito, senza far distinzione fra il buono e il malvagio. Si deve cioè pensare che l’essere, assumendo lo stato umano di esistenza (volendolo, o inconsideratamente, o per una temerità, come è detto in un ? trattato ermetico), nun può non trovarsi esposto alle contingenze proprie a tale stato. Cercar nessi morali trascendenti nell’uno o nell’altro caso, è cosa a cui si può esser portati naturalmente, ma che mantiene sempre il carattere di una avventata ipotizzazione.

Ma lasciando da parte quest’ordine di problemi, accenniamo ad alcune idee di de Maistre che sono interessanti dal punto di vista tradizionale. Per primo, si può indicare quella di una Tradizione Primordiale. Può darsi che de Maistre ne sia debitore a Claude de Saint-Martin, che egli conobbe, e che era esponente di dottrine esoteriche (nel quadro della massoneria, la quale a quel tempo era assai diversa da quella più recente, tanto che lo stesso de Maistre ne fece parte). Poi vi è la tesi che lo stato naturale originario dell’umanità non sia stato quello di una barbarie. Al contrario, esso sarebbe stato di luce e di conoscenza, mentre il selvaggio, il presunto “primitivo”, sarebbe soltanto

“il discendente di un uomo staccatosi dal grande albero della civiltà in séguito ad una prevaricazione che non si può ripetere”.

Ma per altri riguardi l’uomo si trova a risentire degli effetti di una prevaricazione e di una conseguente degradazione, cause della sua vulnerabilità non solo spirituale e intellettuale, ma anche fisica. Una tale idea è evidentemente simile a quella del “peccato originale” della mitologia cristiana, il quadro essendo però più vasto ed accettabile. Quanto all’accennata tesi sulla vera natura dei “primitivi”, essa sarebbe tale da portare ad un più alto livello la ricerca etnologica e da impedirle di prendere molte cantonate.

De Maistre accusa i savants, scientisti e simili, i quali, come in una congiura, non ammettono che si sappia più di loro o in un modo diverso dal loro.

“Si giudica un tempo in cui gli uomini vedevano gli effetti nelle cause con la mentalità di un tempo in cui gli uomini a fatica risalgono dagli effetti alle cause, o si dice che è inutile occuparsi della cause, o non si sa quasi più che cosa sia una causa.” Egli aggiunge: “Si odono mille amenità sull’ignoranza degli antichi che vedevano gli spiriti dappertutto: a me pare che noi siamo molto più sciocchi di loro perché non ne vediamo in alcuna parte. Sentiamo sempre parlare di cause fisiche. Ma che cosa è, insomma, una causa fisica?”

Per lui è nefasto, e tale da promuovere una fondamentale superficialità, l’assioma: “Nessun avvenimento fisico riguardante l’uomo può avere una causa superiore.”

L’idea del progresso viene negata. Quella di una involuzione appare assai più plausibile. De Maistre rileva che tradizioni molteplici attestano che

“gli uomini hanno cominciato con la scienza, ma con una scienza diversa dalla nostra e ad essa superiore, perché partiva da un punto più alto, il che la rendeva anche molto pericolosa. E questo vi spiega come mai la scienza, ai suoi inizi, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell’àmbito dei templi, dove infine si spense quando questa fiamma non poté servire ad altro che a bruciare”.

De Maistre era portato a dare un grande rilievo alla preghiera e al suo potere. Scrisse perfino: “Nessuno può provare che una nazione che prega non sia stata esaudita”, ma, propriamento, è l’opposto che si sarebbe tenuti a dimostrare, i che non è facile. Ci si trova di fronte all’antitesi fra la preghiera della virtù che le si attribuisce, e l’immutabilità delle leggi di natura, antitesi di cui de Maistre cerca di venire a capo, però in modo poco convincente. Egli ritiene che se delle preghiere no ?n vengono esaudite, ciò è dovuto soltanto ad una superiore saggezza divina.

Spesso viene citato con scandalo l’apologia del carnefice quale strumento di Dio, fatta da de Maistre, ed anche la sua concezione del carattere divino della guerra. Purtroppo e quest’ultimo riguardo non vien considerato ciò che la guerra può propiziare in fatto di eroismo, di azioni superindividuali, ma la si vede nei termini tetri di una espiazione che colpisce una umanità fondamentalmente colpevole e degradata. La differenza fra guerra giusta e non giusta, fra guerra di difesa e di conquista, fra guerra vinta e perduta, non viene considerata. Sono vedute, queste, che poco si accordano con un orientamento positivamente “reazionario”.

In un’altra sua opera, Considerations sur la France, de Maistre, dichiarandosi per una restaurazione, enuncia un concetto importante dicendo che la controrivoluzione non deve essere una “rivoluzione contraria” bensì “il contrario della rivoluzione”. A lui si deve una specie di teologia della rivoluzione; egli mette in luce quel che di “demonico” si cela, in genere, nel fenomeno rivoluzionario. Tale aspetto è rilevabile anche per il fatto che la rivoluzione trasporta i suoi artefici, più che non si lasci guidare veramente da essi. Solo nell’epoca moderna doveva aversi il fenomeno di una “rivoluzione permanente” più o meno istituzionalizzata, coi suoi tecnici e i suoi lucidi manipolatori.

Nelle Serate di Pietroburgo, spigolando e lasciando da parte disquisizioni (come ad esempio quella, prolissa, su Locke), il lettore potrà trovare molti altri spunti interessanti. Non resistiamo alla tentazione di riferire ciò che de Maistre dice sulla donna:

“La donna non può essere superiore che come donna, ma dal momento in cui vuole emulare l’uomo, non è che una scimmia”.

Pura verità, piaccia o non piaccia ai vari “movimenti femminili” contemporanei.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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