Distretto NordPOW

Alan Lundy, POW: un giorno a Maghaberry

Alan LundyAlle 5 di mattina del 27 settembre mi sono nella mia cella e penso nervosamente al giorno che sta per iniziare.

Oggi devo andare in tribunale e quindi inizia la brutale, degradante e umiliante tattica della perquisizione corporale forzata (Strip Search) per i prigionieri repubblicani. Questa non è la prima volta che mi reco in tribunale, quindi so cosa mi attende. Il mio cuore accelera i battiti e posso udirlo pompare attraverso il mio petto mentre il pensiero di ciò che sto per subire invade la mia mente. Dovrei essere preoccupato, ma allo stesso tempo so che non voglio conformarmi ai mia brutali torturatori senza cuore.

Le ore successive sembrano trascinarsi e alle 7 in punto suona la sveglia in tutta l’ala, con un fragore che non potrebbe essere più forte. Mi siedo e stiracchiandomi guardo nell’angolo della cella per vedere le cene delle ultime sere, gettate lì perché immangiabili.

Guardando sul pavimento accanto al mio letto vedo la mia colazione, un piccolo pacchetto di Alpen e mezzo cartone di latte che le guardie hanno scagliato nella mia cella la sera precedente, prima di sapere che sarei andato in tribunale stamattina. Mangio e quando ho finito mi tengo il cucchiaio che mi servirà più avanti. Strappo il contenitore di plastica della colazione e il cartone del latte, gettando tutto dalla finestra. Questo avviene per i tre pasti quotidiani, così loro (il personale carcerario) la smettono di utilizzare i contenitori e le posate più e più volte. Tale azione fa sembrare l’esterno dell’ala Repubblicana come una discarica, infastidendo l’amministrazione penitenziaria che deve pagare un’impresa di pulizie industriali per sistemare tutto.

Posso sentire gli addetti alle pulizie che con grandi macchine aspirapolvere ripuliscono tutta la sporcizia che abbiamo gettato fuori ieri sera. Mi rendo conto che farei meglio ad andare in bagno prima che mi vengano a prendere per portarmi in tribunale. Il bagno consiste in un foglio di giornale per terra e da un cartone del latte vuoto. L’urina finisce fuori dalla finestra, mentre il resto va sul muro. Non è una bella cosa da spalmare sul muro di prima mattina, non è bello farlo durante qualsiasi altro momento della giornata ma almeno adesso c’è spazio per farlo, perché la mia cella è stata pulita per la prima volta due settimane fa. Prima tutte e quattro le mura erano coperte da cima a fondo con un doppio strato di escrementi, così come il soffitto. Il soffitto non viene usato da tutti i prigionieri perché qui entra in gioco l’altezza. Per coprire il soffitto occorre impilare dei giornali sulla sedia di plastica che abbiamo o metterci sopra i vestiti e salirci sopra. Ci vuole un buon equilibrio ed è difficile, ma è una bella sensazione pensare che la persona incaricata di pulire la cella con il tubo di gomma difficilmente riuscirà a schivare i rifiuti che gli cadranno addosso dal soffitto.

Poco dopo la porta si apre e loro sono lì. La squadra anti sommossa. Questi sono gli odiosi ratti che lavorano ogni giorno nella nostra ala. Sono in quattro. “Doccia, vai in tribunale” ringhia uno di loro. Esco, portando com me l’asciugamano, spazzolino e dentifricio e il sapone. Uno di loro me li prende e perquisisce l’asciugamano e il flacone del sapone, un altro mi perquisisce dalla testa ai piedi mentre gli altri due stanno lì e mi fissano con gli occhi carichi d’odio. I quattro vengono con me fino alle vicine docce, due davanti e due dietro. QUesto è quello che chiamano “movimento controllato”. Nessun altro prigioniero sarà presente nel corridoio quando è occupato da qualcuno e tutte le volte ci saranno intorno i quattro elementi della squadra anti sommossa.

Alle docce mi gettano una scatola ai piedi, con una busta marrone in cima. In questa scatola ci sono i vestiti puliti, perché non ci fanno indossare i vestiti che teniamo in cella quando lasciamo l’ala perché, dicono, sono contaminati.

Tiro fuori i vestiti dalla scatola e sollevo il sacchetto marrone. Loro aprono il cancelletto d’acciaio per farmi entrare e poi lo richiudono dietro di me. Sono dentro da pochi minuti quando uno di loro grida: “Sbrigati, il pulmino è qui”, ma mi prendo il mio tempo perché non ho alcuna fretta, sapendo quello che mi aspetta dopo. Ho messo i vestiti che indossavo in cella insieme all’asciugamano e agli articoli da bagno nella borsa di carta marrone, poi esco dal cancelletto e ci sono ancora quei quattro ad attendermi. Uno prende la borsa marrone e la controlla mentre un altro mi perquisisce di nuovo da cima a fondo e gli altri due continuano a lanciarmi occhiate cariche d’odio. “Puoi usare il telefono” mi dice uno di loro, ma li avviso che non posso farlo perché la scheda telefonica è nella mia cella. “Non è un nostro problema”, risponde quello, così realizzo velocemente che oggi non potrò fare la telefonata di cinque minuti alla mia famiglia. La guardia si rivolge agli altri membri della squadra anti sommossa che hanno raggiunto la reception: “Eccolo pronto per il pulmino, non vuole il telefono”. E tutti scoppiano a ridere. Patetico.

Quattro di loro camminano con me fino alle griglie che mi conducono fuori della nostra ala, poi attraversiamo un cancello e un altro ancora, direttamente sul bus lasciato all’ingresso di Roe House. Il motore parte e siamo pronti ad andare. C’è un piccolo foro nel materiale che oscura i finestrini e vedo che passiamo attraverso due cancelli controllati elettronicamente e oltre la stanza della perquisizione. La stanza contiene una sedia “Boss”, ovvero uno scanner per il corpo che può vedere se ci sono oggetto occultati. Potrebbero usarla al ritorno dalle visite, quindi perché non possono usarla anche adesso invece di passarci davanti e portarmi nella zona della reception dove cinque membri della squadra anti sommossa eseguiranno una perquisizione corporale su di me?

Il mio stomaco si contorce mentre il furgone si ferma nella zona della reception. Vengo trasportato qui e mi chiedono subito se ho intenzione di permettere la perquisizione. La mia risposta è no. Allora mi mettono in uno stanzino e mi dicono che ho 15 minuti di tempo per rifletterci su. “Non ne ho bisogno”, rispondo, ma la porta viene chiusa. Uso questo tempo per camminare su e giù per la piccola stanza, respirando a pieni polmoni e muovendo le braccia ed i polsi in ampi movimenti circolari, in modo da prepararli all’aggressione che mi attende. Trascorsi i quindici minuti, la porta si apre e un funziojnario entra per chiedermi se intendo permettere la strip search. Più determinato che mai, rispondo ancora “No”. Mi chiede se c’è qualcosa che può farmi cambiare idea e rispondo di nuovo negativamente. “D’accordo, allora”, dice, “ho intenzione di ordinare la perquisizione” ed esce dallo stanzino. In pochi istanti cinque grossi appartenenti alla squadra anti sommossa entrano dalla porta, uno di loro corre in un angolo con una telecamera mentre altri due mi raggiungono e mi prendono per le braccia, le tirano all’esterno e mi piegano i polsi, le dita e le braccia in una sorta di blocco tipo arti marziali. Un terzo mi afferra la testa e la spinge contro il petto, facendo così forte da costringermi a cadere in ginocchio. Mentre sono in ginocchio, le mie braccia vengono tese in una posizione tipo crocifisso e i miei polsi vengono piegati brutalmente verso l’alto. La quarta guardia si mette dietro di me, tirandomi le gambe, mentre il terzo spinge la mia testa a terra, sempre mentre gli altri due continuano a bloccarmi le braccia, le dita e i polsi. Ora sto disteso faccia a terra con due membri della squadra anti sommossa vicino a me, che mi provocano dolore alle braccia, ai polsi e alle dita. Adesso il quarto inizia a togliermi le scarpe e le calze, li perquisisce e non vi trova nulla. Allora mi toglie anche i jeans e le mutande, lasciandomi nudo dalla vita in giù. Di nuovo perquisisce gli abiti e non trova nulla. Allora il terzo mi solleva la testa di 20 cm dal pavimento e mentre i due a lato continuano a tenermi per le braccia, uno mi toglie la maglietta per cercarvi qualcosa e, non trovandovi nulla, la lancia sopra di me. A questo punto il capo della squadra anti sommossa li richiama uno ad uno. Il primo ad uscire è quello che mi ha spogliato, seguito da quello che mi tiene la testa sul pavimento. Questa operazione lascia ancora tre guardie nella stanza: quello nell’angolo che ha ripreso tutto il mio calvario e gli altri due che bloccano le mie braccia, i polsi e le dita. Tutt’un tratto uno di loro inizia a gridare: “Basta resistere, basta resistere”. Non posso muovermi e men che meno porre resistenza e loro mi hanno sistematicamente tirato le braccia tese dietro la schiena. Emetto dei gemiti, non so come spiegare la posizione in cui mi trovo perché non credo sia umanamente possibile mettere in questo modo il proprio corpo. Credo che le spalle mi stiano per rompersi, così come i polsi. Sto ancora urlando di dolore quando mi lasciano cadere a terra. “Non alzarti finché non lasciamo la stanza”, dice uno di loro. Resto steso in preda al dolore, ma un sospiro di sollievo mi pervade. È finita, per ora.

Mi rimetto in piedi e guardo la porta. Lo spioncino è aperto e quello con la telecamera continua a riprendere. Mi rivesto e lo spioncino si chiude con un fragore. Nel giro di un minuto torna il governatore: “Avete reclami riguardo la perquisizione?”, chiede. Dico che è stata troppo aggressiva e fuori luogo. “Lo segnalerò”, afferma lasciando la stanza, mentre un’infermiera entra domandando: “Hai qualche ferita?”. Riesco solo a guardarla, cos’ se ne va. Le guardia alla porta sbraitano: “Andiamo”.

Esco dalla zona della reception e c’è la squadra anti sommossa in piedi che sta ridendo, come se avessere appena fatto qualcosa di cui essere orgogliosi. Li guardo con un sorrisetto e cammino fino alla porta d’ingresso.

Usciamo dall’edificio ed entriamo nel pulmino della prigione per un breve viaggio fino al tribunale di Laganside a Belfast. Una volta laggiù mi portano nelle celle e lì aspetto di essere chiamato. Nel giro di un’ora vengo trasferito al piano di sopra, in un’aula. Mi siedo accanto a tre amici che sono nel banco degli imputati insieme a me, tutti e quattro in tribunale per delle accuse inventate contro di noi dalla RUC. Dopo pochi minuti il giudice aggiorna l’udienza perché i cosiddetti testimoni della polizia non si sono presentati.

Stringo la mano ai miei amici e vengo ricondotto giù nelle celle. Mi tengono qui per un qualche ora. Mi portano il pranzo – un panino ed un pacchetto di patatine – e poi mi caricano sul pulmino della prigione, per il breve viaggio di rientro a Maghaberry.

Il mio stomaco si torce di nuovo. Se che mi stanno aspettando.

Mi riportano nella zona della reception e tutta la brutale procedura viene ripetuta di nuovo.

Sto ancora soffrendo quando mi portano indietro a Roe 4. Sono condotto direttamente nella mia cella da quattro membri della squadra anti sommossa. Due davanti e due dietro.

La porta della cella sbatte alle mie spalle. La mia cena è già sul letto: patate semi congelate, una specie di formaggio e delle fette di broccoli. La getto verso la porta e mi sdraio sul letto, pensando al giorno appena trascorso. Mi chiedo: perché passano accanto alla stanza delle perquisizioni dove si trova la sedia Boss? Se ci facessero usare la sedia Boss uscendo da Maghaberry, non ci sarebbe bisogno di queste brutali perquisizioni forzate. Allora la realtà fa capolino: si tratta solo di potere e di controllo. Non posso fare a meno di chiedermi che razza di persona devi essere per andare a lavorare tutti i giorni per brutalizzare un altro essere umano? Devi essere una persona malata, è la mia conclusione.

Mentre formulo i miei pensieri la porta della cella si apre. “Qualcosa per il governatore?” chiede uno di loro. Non alzo nemmeno la testa e la porta si richiude.

Sono circa le sei e mezza. Giunge il momento di iniziare la costruzione notturna della diga per quando metterò in giro la roba in un secondo momento. Servono delle capacità per padroneggiare quest’arte, ma nel giro di pochi giorni ho capito come fare.

Quando andrò in bagno più tardi userò il cucchiaio di plastica che ho tenuto dalla colazione del mattino per mischiare tutto insieme a formare una poltiglia marrone che sarò in grado di riversare nel corridoio. Non possiamo vederlo, ma mi piacerebbe scoprire l’aspetto del corridoio e il macello che devono ripulire dopo che tutti i ragazzi hanno svuotato il loro miscuglio fuori dalle porte.

Dopo aver fatto questo e aver letto un po’, chiudo gli occhi e mi sistemo per la notte.

Domani sarà un nuovo giorno e sebbene siamo rinchiusi per 23 ore al giorno vedrò i miei amici e i miei compagni durante il breve periodo degli esercizi. Questo mi porterà un sorriso sul volto perché, nonostante le difficili condizioni in cui siamo costretti a vivere, nonostante il brutale regime che siamo costretti a sopportare, il divertimento (craic, Ndt) e lo spirito non potrebbero essere migliori.

Mi riempie di grande orgoglio avere un piccolo ruolo in questa fase della lotta nel carcere. Siamo più che mai determinati a portare avanti questa protesta fino in fondo e vincere. Questi uomini che eseguono la dirty protest a Maghaberry sono uomini coraggiosi, sono uomini forti ma soprattutto sono Repubblicani Irlandesi.

Vittoria per i prigionieri in protesta a Maghaberry.

ALAN Lundy, P.O.W
ROE 4, Maghaberry

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René Querin

Di professione grafico e web designer, sono appassionato di trekking e innamorato dell'Irlanda e della sua storia. Insieme ad Andrea Varacalli ho creato e gestisco Les Enfants Terribles.

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