Distretto Nord

Buon compleanno, Aung San Suu Kyi

Tratto da Panorama

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È il suo compleanno, ma nessuno andrà da lei per festeggiarla. Non riceverà regali. Non ci saranno cene al ristorante o party a sorpresa nel salotto. Non risponderà ai biglietti e alle telefonate di auguri. Forse sentirà musica, ma non alla radio. Leggerà un vecchio libro, se non le è stato sequestrato, ma non il giornale. Non viaggerà su internet. Anzi, non uscirà dalla sua casa. Sarà sola. Eppure centinaia di migliaia di persone, penseranno a lei, le manderanno un’(ideale) cartolina con scritto: happy birthday.

Decine di altre si recheranno nei templi, o nelle chiese, per pregare per lei, o nelle strade, per ricordarla pubblicamente. Eppure ci saranno ricevimenti e brindisi in suo onore in diverse città del mondo, da Bangkok a Stoccolma, da Washington a Londra. Probabilmente, lei lo sa che succederà. E così non si sentirà sola.

Vita sotto controllo. Aung Sa Suu Kyi, leader dell’opposizione democratica birmana, premio Nobel per la Pace, simbolo mondiale della lotta per i diritti politici e civili, ha trascorso almeno dodici dei suoi 63 compleanni agli arresti domiciliari. E anche quest’anno, sarà costretta a farlo, prigioniera della giunta militare di Rangoon. “La sorveglianza attorno a lei è sempre più stretta e soffocante” – dice Po Ahla Tint, portavoce del National Coalition Government of the Union of Burma, il governo in esilio dell’opposizione birmana, che abbiamo raggiunto nella sede di Rockville, in Maryland, negli Stati Uniti.

“Certo non sarà una ricorrenza felice. Lei non può incontrare nessuno, se non il suo medico, che può vedere solo dietro autorizzazione delle autorità militare. Le restrizioni sono diventate così forti, da raggiungere il ridicolo. Pensi che lei ha dovuto chiedere un nuovo permesso per usare la sua stampante automatica. La stampante di lettere che lei non può spedire a nessuno”. Da anni, la sua vita è questa. A parte qualche rarissimo colloquio concesso, come quello avuto nell’inverno del 2007 con l’inviato speciale dell’Onu Ibrahim Gambari, il quale riuscì a renderle visita nella sua abitazione, in un incontro svoltosi sotto gli occhi dei funzionari della giunta militare, l’eroina birmana non può avere contatti con l’esterno.

Prigione a cielo aperto. I generali di Rangoon temono troppo quel dolcissimo sorriso, conosciuto in tutto il mondo. Hanno così paura di quella donna minuta e tenace che, qualche settimana fa un giornale del regime è arrivato a scrivere che Aung Sa Suu Kyi “dovrebbe essere frustrata come un bambino cattivo perché rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale”. Le notizie su di lei che giungono negli Usa, afferma il portavoce del governo in esilio, dicono che il Nobel per la Pace sta “bene dal punto di vista fisico anche se soffre ancora dei postumi di un’operazione all’utero subita nel 2003″. Po Ahla Tint è sicuro che in Birmania ci saranno decine di manifestazioni di festeggiamento del compleanno del leader della Lega Nazionale per la Democrazia. Ma saranno rigorosamente private e silenziose. La Birmania, sotto il tallone della giunta militare, è una prigione a cielo aperto.

E la repressione è diventata durissima dopo la rivolta dello scorso settembre. Nel mirino non ci sono soltanto i membri del partito di opposizione, ma anche -e soprattutto – i monaci buddisti che di quelle giornate furono i protagonisti. “Sono molti i controlli nei monasteri, molti gli arresti”. I generali birmani non vogliono perdere potere in quella che si è dimostrata una delle più feroci dittature conosciute. Tanto crudele da abbandonare al proprio destino le migliaia di sopravvissuti al passaggio del Tifone Nargis, che sei settimane ha devastato la zona sud del paese, provocando la morte almeno 70.000 persone.

“A un mese e mezzo dalla catastrofe – denuncia il portavoce del governo in esilio – la maggior parte della popolazioni colpite non ha ancora visto gli aiuti inviati dall’Onu. Mi dispiace per Ban Ky Moon, ma devo dire che le nostre fonti sul posto ci forniscono racconti ben diversi da quella descritta dal segretario generale delle Nazioni Unite”. Secondo Po Ahla Tint, i militari gestiscono direttamente i soccorsi, sottraendoli ai legittimi destinatari. E il tutto lontano da occhi indiscreti. Rimangono infatti i divieti ai membri delle organizzazioni umanitarie straniere di raggiungere i villaggi distrutti da Nargis.

“La giunta dal punto di vista politico non è mai stata cosi’ debole. L’odio dei birmani nei confronti dei dittatori è aumentato – sostiene il nostro interlocutore – Anche perché si sono arricchiti sempre di più alle spalle del popolo. Il problema è che la loro macchina repressiva funziona senza intoppi. Sembrano saldi al potere. Anche perché non sono così isolati dal punto di vista internazionale. Basti pensare all’appoggio cinese”. Contro di loro, rimane lei: quella piccola, grande donna, nata esattamente 63 anni fa a Rangoon, terzogenita di una famiglia che ha fatto la Storia della Birmania.

Quindi, Happy Birthday Mrs Suu Kyi. What else?

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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