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Test match a Ravenhill: l’Irlanda del rugby torna a Belfast

Damiano Benzoni

ravenhill, belfast
“Come può un giocatore del Nord appartenente all’enclave unionista indossare la stessa maglia verde di un nazionalista del Sud e intonare, insieme, l’inno repubblicano? Semplice. Il sabato della partita ci si dimentica tutto, non si chiede nulla. In testa non c’è altro che una sola idea: battere gli avversari. Il rugby ha questa straordinaria capacità di farci sentire fratelli almeno quattro volte l’anno”. Questo è il rugby per gli irlandesi, nelle parole di uno che di Irlanda ovale la sa lunga: Mike Gibson da Belfast, trequarti centro, 69 caps per i greens tra il 1964 e il 1979. Il binomio Irlanda e rugby ha sempre rappresentato una gradevole anomalia: l’unico sport in grado di unire tutta l’isola, dove non esistono Eire o six counties, ma solo il trifoglio sulla maglia verde della nazionale e l’orgoglio di poterlo indossare. Tanto che negli anni ’20 le partite del Cinque Nazioni prendevano luogo regolarmente, mentre la guerra civile imperversava. Benchè la nazionale appartenga a tutta l’isola, i greens mancano dall’Irlanda del Nord dal 1954, quando al Ravenhill di Belfast sconfissero la Scozia 6-0.

Brian O'DriscollUn’assenza che verrà colmata nell’agosto 2007 quando, per via della ristrutturazione dei due maggiori stadi rugbistici irlandesi (il Lansdowne Road di Dublino, casa della nazionale, e il Thomond Park di Limerick), sarà proprio l’impianto di Ravenhill ad ospitare il test-match di preparazione alla Coppa del Mondo fra Irlanda e Italia. La partita si terrà nel weekend del 24-26 agosto e sarà l’ultima del programma di 12 partite che attendono l’Irlanda in vista dei Mondiali. Determinante per la scelta dell’Irlanda del Nord è stato senz’altro il successo della squadra provinciale dell’Ulster, che ha vinto l’ultima edizione della Celtic League, torneo in cui competono le maggiori realtà rugbistiche di Irlanda, Scozia e Galles. Una provincia in grande crescita, come dimostrano i giovani talenti che sta fornendo alla nazionale, come i fratelli Rory e Simon Best, uomini di prima linea, il flanker Neil Best e i trequarti Andrew Trimble e Tommy Bowe. Nordirlandese anche Stuart Philpott, tallonatore, capitano della nazionale under 21 all’ultimo mondiale.

Palla da rugbyPeculiare la questione degli inni: gli irlandesi non canteranno l’inno repubblicano A Soldier’s Song (Amhrán na bhFiann), intonato solamente nelle partite che la nazionale disputa sul suolo della Repubblica. Verrà cantato, come sempre, Ireland’s Call, l’inno della nazionale di rugby scritto nel 1995 da Phil Coulter (nativo di Derry) per rappresentare tutta l’isola, e sarà anche eseguito God Save The Queen, inno del Regno Unito, in quanto paese ospitante. Qualcuno storcerà il naso, ricordando come nel 2003 a Dublino gli inglesi infransero il protocollo ufficiale, impedendo alla presidente della Repubblica Mary McAleese, di origine nordirlandese, di passare sul tappeto rosso per stringere la mano ai giocatori irlandesi. Un’occasione in cui tutto il Lansdowne Road si alzò in piedi e intonò Fields Of Athenry, ballata tradizionale che parla dell’oppressione della corona, con tale orgoglio e dignità da intimidire i giocatori inglesi.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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