Les Enfants Terribles

Dove David è Golia

di Massimiliano Vitelli

Soldati di Hamas

Le sempre più frequenti inappropriate offensive di Hamas, spesso addirittura autolesioniste, dimostrano, al di là delle ideologie, quanto sia impari la guerra in medio-oriente.

Venerdì 26 dicembre. Gaza. Fine della tregua. Il cielo s’illumina di comete di morte. I razzi Qassam squarciano il blu oltre le nuvole portando, con le loro punte rosse come le frecce velenose dei tempi che furono, l’immensa tragedia della fine della vita. A decine partono dai campi di comando di Hamas, rapidi sibili di dolori annunciati. L’evidente dilettantismo dell’esercito palestinese sta per mietere altre vittime “amiche”. Uno dei razzi, indirizzato verso gli insediamenti israeliani a ridosso del confine con la “striscia”, cade troppo presto e centra in pieno una baracca dove vivono due bambine palestinesi. Boom e click. Si spengono in un istante le loro vite, i loro sorrisi ed i loro giochi innocenti. Andate, per sempre, a riempire quel cielo dove un Dio, in nome del quale qui si sparge sangue da decine di anni, dovrà pur esistere, vedere, giudicare. Altre piccole martiri di una guerra non scelta, altre vite spezzate nei bui “territori occupati”.
L’inadeguatezza di Hamas appare ogni giorno più evidente. Pochi uomini, scarse armi, preparazione quasi esclusivamente autodidatta. Oltre il muro, invece, il più addestrato esercito del mondo con alle spalle i migliori servizi segreti e, se ciò già non fosse ampiamente sufficiente a garantirgli il netto predominio nel conflitto, con il “parafulmine” Stati Uniti d’America, la loro influenza, la loro forza d’urto sul mondo. Oramai per gli abitanti di Gaza questa terra è divenuta una prigione a cielo aperto. Qui si nasce, si cresce e, purtroppo troppo spesso, si muore, agli “arresti domiciliari”. Chiusi, confinati all’inferno, in balia degli umori del nemico.
L’immobilità dell’Unione Europea, nell’eterna attesa di direttive da seguire da parte di Washington, lascia libero arbitrio a Tel Aviv su ogni decisione riguardante la “striscia”. Oggi niente acqua, per una settimana niente medicine, forse, poi… chissà. Quindi, abbandonati al proprio destino, qui ci si arrangia come si può. Si scavano tunnel verso l’Egitto, paese sempre in bilico tra appoggiare la Palestinian Authority e il compromesso diplomatico con Israele. Si cerca sostegno dall’Iran, da Hezbollah in Libano. Si spera nell’aiuto delle onlus umanitarie, si aspettano i camion carichi di cibo e medicinali salva-vita come una grazia. E intanto si muore. Di stenti, di fame, di bombe nemiche ed amiche.
Dalla fine del controllo politico e militare sulla Palestina del presidente Abu Mazen ad oggi solo una cosa può essere affermata con certezza: una guerra dove da una parte si tirano sassi e qualche razzo e dall’altra missili e bombe non ha più senso di esistere. Dovrebbe essere sospesa d’ufficio per manifesta superiorità.
È vero, spesso, i palestinesi ricorrono ai kamikaze ma questo non li porterà certo alla vittoria. Resistere, solo per esistere un altro po’, è tanto doloroso quanto, alla distanza, inutile. Salvo impensabili colpi di scena infatti, Israele prima o poi avrà la meglio. Una cosa però è da mettere in conto: anche tra decine e decine di anni nascerà qualcuno che guardando una foto di un uomo o di una donna morti in questo assurdo conflitto, sentirà un fuoco dentro e quel fuoco lo spingerà a combattere, a riorganizzare l’offensiva contro l’invasore.
Piccoli o grandi focolai nasceranno sempre e sempre porteranno morte e dolore. I secoli passati, le tante guerre che la nostra vecchia terra ha avuto il dispiacere di vedere e di patire, ci hanno insegnato che la storia la scrivono i vincitori ma, prima che l’evento decisivo accada, per non alimentare altro odio ed altra guerra, sarebbe doveroso che le potenze mondiali si riunissero intorno ad un tavolo ed analizzassero l’intera questione medio-orientale partendo dall’inizio.
Dalle enormi responsabilità dell’Onu, che terminata la seconda guerra mondiale stabilì, con la risoluzione numero 181 che di risolutivo non ebbe nulla, di destinare terre già occupate alla creazione del nuovo Stato d’Israele innescando un conflitto tra indigeni e nuovi venuti che ha provocato ed ancora provoca migliaia di vittime. Sarebbe doveroso analizzare come ciò abbia minato gli equilibri politici e sociali preesistenti di quelle zone e con effetto-domino del mondo intero. Sarebbe moralmente giusto ammettere e, per una volta, non omettere.

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