Massimiliano Vitelli, Les Enfants Terribles Political Editor
Intervista esclusiva al Ministro per il commercio Internazionale, tra lotte passate, ideologie e obiettivi futuri
La disobbedienza civile, così come tramandata da Thoreau e Gandhi, fa parte della storia delle democrazie. Si viola una legge che si considera ingiusta o iniqua con metodi nonviolenti e in maniera pubblica, al limite auto-denunciandosi, al fine di cambiarla attraverso una presa di coscienza dell’opinione pubblica. Essere al servizio dello stato, quando ministro, e praticare la disobbedienza civile, quando semplice militante, non è una contraddizione. In entrambi i casi l’obiettivo è di rafforzare le istituzioni democratiche.
La Sua attività per la promozione e la protezione dei diritti umani l’ha vista, oltre che impegnata politicamente, anche spesso attivista sul campo (si ricordano i suoi viaggi a Sarajevo e a Mostar, a Varsavia ed a New York). La “presenza sul posto” è certamente un atto di dimostrazione di vero interesse per le cause a cui ci si dedica. Quanto ha contribuito questo Suo “modus operandi” nel raggiungimento dei risultati?
Ho sempre considerato che “andare sul posto” fosse un dovere, sia nella veste di militante radicale come nel caso di Varsavia – per sostenere il dissenso contro un regime totalitario – o New York – per promuovere la campagna antiproibizionista sulle droghe -, sia nel ruolo di Commissaria europea, come a Sarajevo e Mostar durante la guerra nei Balcani. Sostanzialmente è una questione di credibilità: analizzare una situazione complessa dal proprio ufficio è diverso che andare fisicamente sul posto. Se lo scopo è di attirare l’attenzione del mondo su di una crisi dimenticata in Africa o in Asia si può certo fare una manifestazione a Roma o a Parigi ma denunciare la condizione dei rifugiati ruandesi andando di persona in Congo, oppure il regime dei generali in Birmania incontrando Aung San Suu Kyi a Rangoon, fornisce maggiori e migliori argomenti per cercare di cambiare la situazione.
Il lavoro di corrispondente o di inviato di guerra lo lascio ai giornalisti. Devo dare atto a molti dei giornalisti che sono venuti con me in circostanze difficili di aver fatto un lavoro altrettanto importante del mio documentando quello che vedevamo perché le immagini spesso, anzi quasi sempre, parlano di più delle parole.
La difesa del “mondo libero” occidentale dal terrorismo è, agli occhi dell’altra metà del globo, un’ipocrisia smisurata. I crimini perpetrati per decenni da chi oggi guida la guerra al terrorismo possono, a Suo parere, essere, anche in parte, la causa dell’attuale situazione?
Gli imperi coloniali hanno combinato disastri con cui ancora oggi dobbiamo in qualche misura misurarci, così come la fine del mondo bipolare ha fatto scoppiare delle crisi e delle tensioni che covavano sotto la coltre della Guerra Fredda. Ma tutto questo oramai fa parte della Storia. Noi dobbiamo guardare al futuro e, per il futuro, quello che dovrebbe premerci, è che s’instauri ovunque, qualsiasi sia il colore del regime e a prescindere dalla fede che si professa, la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e civili.
Il mio giudizio è che la democrazia non si esporta punto, figuriamoci con la forza. La democrazia nasce da processi interni che, certo, possono essere propiziati e incanalati. È chiaro che si predica meglio se gli stessi principi si applicano anche a casa propria.
L’Africa è un mio cruccio particolare, sia come ministro che come radicale. A luglio sono stata con il ministro D’Alema in Sudafrica, Mozambico e Congo. Il Sudafrica, che da solo contribuisce al 30% per la crescita del pil dell’intero continente, ha oramai superato la curva del non ritorno e si avvia ad un futuro di sviluppo e spero di prosperità, anche se il problema dell’Aids grava ancora sul paese dal punto di vista dello sviluppo umano e sociale. Per questi motivi, nelle Linee Direttrici dell’attività promozionale del Ministero del Commercio Internazionale e dell’Ice, abbiamo indicato il Sudafrica come paese focus per il 2008 e stiamo seguendo l’Angola con particolare attenzione. Poi abbiamo fatto azioni di sistema anche in Algeria, Tunisia, Marocco. Certamente la situazione più critica è nella fascia dei paesi sub-sahariani, che sono di fatto tagliati fuori dai benefici della globalizzazione. In queste settimane sono venuti in visita in Italia i Presidenti di Mozambico e della Tanzania. Qualcosa comincia a muoversi, ma mi rendo conto che non è facile perché anche le condizioni per investire in quei paesi spesso sono difficili, a partire dal problema della sicurezza.
Per chiudere, quali sono i suoi programmi più prossimi e quali gli obiettivi futuri?
I miei programmi sono quelli di continuare a fare bene il mio mestiere di ministro, di continuare ad appoggiare lealmente questo governo con l’ambizione, se mi permette, di tentare di salvaguardare questa legislatura perché qualsiasi altra alternativa, con questo assetto istituzionale e con questa legge elettorale, non potrebbe che essere un pericoloso salto nel buio.