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Intervista a Edna Longley: Sfidare la complessità

Da Britain and Ireland Cultural Lives – British Council Ireland – Issue 2, 13 Dicembre 2005

Edna Longley discorre con Mickey Fealty dei profondi legami culturali che legano Gran Bretagna e Irlanda. Parla anche del radicamento delle identità culturali individuali che vengono spesso brandite in nome di narrative dominanti. Prosegue quindi sottolineando quanto semplicemente una autobiografia sia in grado di recidere i vincoli imposti dalle grandi narrative e celebra quindi le virtù della presto-dimenticata statua dell’Amnesia. Il giornalista e la critica letteraria analizzano insieme quanto il processo di devolution in corso nel Regno Unito abbia inserito il concetto di britishness in un flusso dal percorso incerto. Conclude quindi discutendo delle possibilità sollevata da Sir Bernard Crick, il quale propone un concetto di culturalismo inteso come “una tavolozza composta da diverse identità che possono convivere in un unico individuo”.

MF: Nel saggio redatto per la raccolta Lives Entwined definisce il Nord Irlanda come “l’inconscio dell’arcipelago: il depositario di una storia scomoda che si vuole dimenticare”. È chiaramente un terreno ricco di insidie e di contestazioni dal punto di vista culturale.
EL: Nel melting pot nordirlandese, o nell’assenza di un melting pot, sono presenti elementi storicamente caratterizzabili come Irlandesi, Inglesi e Scozzesi. Da questo punto di vista la regione non ha corrispettivi nel resto delle isole, sebbene questa specificità sia troppo spesso dimenticata proprio perché soffocata dall’intensità dei traffici che hanno attraversato il Mar Irlandese in entrambe le direzioni. Ciò che mi secca, quando la gente parla di Nord Irlanda, è che non tutti prendono in considerazione questa complessità articolata su più livelli, o, ancor peggio, che molti falliscono nel riconoscere come alcune lontane e torbide origini degli attuali stati Irlandese e Britannico affondino le proprie radici proprio in questa regione. Tutto ciò può essere evidente nella facciata politica del territorio. Ma ritengo che i legami più profondi dovrebbero essere presi in considerazione con più accuratezza.

Inveting IrelandNel suo libro “Inventing Ireland”, Declan Kiberd propone l’idea che le due identità non siano necessariamente separate quanto piuttosto simbiotiche, al punto che l’una non possa esistere in assenza dell’altra. Lei sembra contestare questa interpretazione abbastanza perentoriamente.
A dire la verità è esattemente il presupposto interpretativo alla base della teoria di Kiberd che attacco nel saggio da lei citato, proprio perché mi sembra far perno sul un’antitesi tra Inghilterrra e Irlanda che io mi riservo di mettere in discussione. La ricerca del British Council “Through Irish Eyes” ha rivelato che molti cittadini irlandesi continuano ad usare il termine Inghilterra anche quando si riferiscono, o vorrebbero riferirsi, alla Gran bretagna o al Regno unito. Kiberd, così come altri critici letterrari Irlandesi, si trova abbastanza a proprio agio con l’idea dicotomica dell’Inghilterra opposta all’Irlanda e si compiace dell’apparente paradosso identitario che tale contrapposizione genera. Personalmente la considero piuttosto un prodotto della fantasia – una forma di servilismo intellettuale e di vendetta culturale. Ritengo sia uno stratagemma per negare, e conseguentemente eludere- un approfondimento analitico sulle origini multiculturali di queste due isole. la Scozia, ad esempio (e la componente scozzese in Irlanda) è esclusa dall’antitesi Inglese-Irlandese. Ovviamente la contrapposizione Inglese-Scozzese rappresenta un terreno d’indagine a sé stante, per quanto non completamente separato. Credo piuttosto nel concetto – e nella realtà – di identità sovrapposte, piuttosto che in un’antinomìa o nella visione romantica di una simbiosi tra Englishness e Irishness.

Se osservato da una prospettiva storica sembrerebbe incanalarsi entro il filone più ricco della grandi narrative. Heaney stesso avanza un’ipotesi simile in alcune delle sue prime raccolte.
Semplicemente ritengo che queste narrative, sia che vengano articolate da Kiberd sia che vengano proposte da Heaney, siano prive di un fondamento storico. Non sono basate su un’analisi nè su un presupposto storici. Sono nozioni letterarie, o critico-letterarie, che restituisco un risultato limitante. Per alcuni aspetti, poi, si caratterizzano come narrative successive al 1922, vale a dire modellate su un’ideologia nazionalista e su stereotipi culturali. A livello teorico, credo sia necessario dipanare il bandolo di queste narrative, e mi sembra che il processo sia tuttora in corso. Alcuni pensano – o gli fa comodo pensare- che il revisionismo si sia esaurito. In realtà, non ha ancora sufficientemente approfondito la propria indagine.

The Nations of BritainFino a che punto questi diversi livelli sono specifici rispetto alla relazione Gran Bretagna-Irlanda e non sono invece parte di una più ampia condizione post-moderna e post-nazionalista?
BritainÈ stato dimostrato che questa è stata la regione europea nella quale due giurisdizione si sono più profondamente compenetrate, in cui si è articolato il più intenso, complesso e continuo traffico storico. Chiaramente non nego che il flusso del potere abbia avuto prevalentemente un’unica direzione. Tuttavia ritengo che, nonostante tutti i discorsi sul multiculturalismo, siamo oggi soggetti ad ignorare la complessità di questo traffico in virtù del fatto che l’identità etnica e nazionale è tuttoggi ovunque enfatizzata con un’intensità ben più ampia di quanto non accadesse 40 anni fa. All’atto pratico, per usare la sua espressione, la post-modernità e il post-nazionalismo sembrano generare i loro diretti opposti. Faccio un esempio: sfogliando il testo “The Nations of Britain” di Christopher Bryant, pubblicato nel 2005, ho notato che le statistiche indicano come gli abitanti della Scozia, del Galles e dell’Inghilterra tendano più comunemente ad autodefinirsi Scozzesi, Gallesi e Inglesi piuttosto che Britannici. Non stupisce che questa tendenza sia più eradicata in Scozia e meno in Inghilterra. Ciononostante, il senso d’identità nazionale e di appartenenza etnica è più forte oggi di quanto non fosse precedentemente. Non sono sicura di cosa ciò significhi, dal momento che potrebbe avere delle implicazioni sia positive che negative.

Quale ritiene sia la ragione di questa fluttuazione dall’idea di britishness verso dei concetti più frammentati?
La devolution, della quale sono una sostenitrice, ha sicuramente contribuito in modo determinante. Come pure i cambiamenti avvenuti nel contesto Europeo, con le nuove nazioni così consapevoli delle rispettive identità. Ritengo inoltre che l’ascesa del neo-nazionalismo e della politica identitaria dipenda in parte dal collasmo del comunismo e del socialismo. Questo fenomeno può essere osservato in alcuni intellettuali che sono stati, o magari sono ancora, di orientamento Marxista, ma per i quali oggigiorno è diventato pressochè impossibile essere anche dei socialisti all’atto pratico. Credo inoltre che l’etnicità e l’identità abbiamo in qualche modo sostituito il socialismo nello spazio intellettuale della contestazione della metropoli, del potere istituzionale e persino nell’allontanamento dal concetto di britishness. In Nord Irlanda abbiamo inziato a parlare di identità e di tradizioni culturali nel 1980; adesso lo fanno tutti – forse anche con troppa leggerezza.

The White Tribe, Channel 4Alcuni anni fa Darcus Howe ha realizzato un documentario per Channel 4 intitolato: “The White Tribe”. Una delle cose he ha scoperto è stata che l’Englishness non gli era completamente accessibile per il fatto di essere un Britannico di pelle scura, mentre le seconde o terze generazioni dei figli degli immigrati di colore riuscivano ad appropriarsi con maggiore serenità dell’etichetta di Britannico. Sembra dunque che ci sia stata una deriva di questi concetti.
Si, alcuni di quelli che hanno discusso a proposito (o in favore) della “Break up of Britain” (il titolo del libro di Tom Nairn) hanno notato come il concetto di britishness venga adottato come un’affiliazione dominante o un’identità soprattutto da parte di coloro che in realtà risultino esclusi dalle categorie di Englishness o Scottishness. E questo si verifica soprattutto tra gli abitanti asiatici e tra la comunità di colore che vive in Gran Bretagna. La loro resistenza ha in qualche modo incrinato l’entusiasmo per una tracollo totale del concetto di britishness.

Prima ha sottolineato che questo fenomeno non è necessariamente positivo.
Si, anche se vorrei ribadire che la mia posizione non è esclusivamente pro-Britishness, dal momento che anche questo atteggiamento può sfociare in una forma di nazionalismo. Tuttavia ritengo che la Britishness abbia ancora un valore, non tanto come singola specifica affiliazione quanto più come mezzo, o modello, per creare spazio a molteplici affiliazioni. Si può essere infatti contemporaneamente Scozzesi e Britannici, Gallesi e Britannici, Inglesi e Britannici o Nordirlandesi e Britannici, se lo si desidera.
Bernard CrickForse persino Irlandesi e Britannici. Credo che al di là del livello Britannico ci debba sempre essere spazio per un’ulteriore definizione. Bernard Crick definisce il multiculturalismo non come una sorta di apartheid, ma piuttosto come una tavolozza d’identità che possono coesistere nello stesso individuo – sebbene non tutti gradiscano il lusso della sceltà o la flessibilità. Ritengo che in queste isole dovrebbe esistere lo spazio per una tale coesistenza sia intima che esterna. Mi considero probabimente un’assoluta anti-nazionalista, e di conseguenza non apprezzo che il concetto di britishness sia spinto in quella direzione. Allo stesso tempo, però, ritengo che dovrebbe incarnare qualcosa di più un annacquato optional.

Recentemente ho avuto la possibilità di parlare con qualcuno nella Repubblica che sottolineava come le relazioni diplomatiche tra Irlanda e Gran Bretagna siano notevolmente migliorate e citava a riprova un insieme di fattori – in parte il processo di pace, in parte la crisi al Nord interpretata nel solco di un vecchio dissidio che sta giungendo ad una soluzione così come tutti gli altri elementi negativi. Fino a che punto considera questi elementi come accidentali nella trasformazione del rapporti tra le due nazioni?
Il miglioramento dei rapporti tra Gran Bretagna e Irlanda mi rallegra. Tuttavia, al di là del processo di pace, ritengo che numerosi cambiamenti culturali ed economici che hanno coinvolto la Repubblica abbiano contribuito a modificare lo scenario, e tra questi mi riferisco soprattutto al collasso – ancora non completo, specialmente nel campo educativo – dell’influenza della Chiesa Cattolica. Negli anni ’70 il femminismo è stato un fattore determinante in tal senso, come pure i mezzi di comunicazione internazionali. La narrativa del nazionalismo irlandese, così come quella del nazionalismo britannico, si è certamente indebolita, ed è contemporaneamente crollata l’eccessiva, e spesso meramente retorica, dialettica di auto-differenziazione dalla Gran bretagna e dal Regno Unito che il Free state adottò durante i primi anni di vita.
Preventing the FutureNel suo recente volume “Preventing the future”, Tom Garvin ipotizza che il successo economico irlandese non sia stato ritardato tanto dall’esercizio del potere coloniale britannico quanto più dall’ideologia nazionalista e da alcune delle priorità che questa impose al nuovo stato. Confesso tuttavia di essere alquanto preoccupata dal neo-nazionalismo che si sta sviluppando nella repubblica e soprattutto dal sottile fascino Sinn Feniano che si sta sviluppando in alcuni ambienti intellettuali. È evidente come molto di questo neo-nazionalismo abbia a che fare con il Nord Irlanda, ed in questo senso è allo stesso tempo interessante e preoccupante osservare come il Fianna Fail e il Fine Gael e altre formazioni politiche si mostrino ansiose di reclamare l’eredità “repubblicana” finora appannaggio dello Sinn Fein.

Lo considera un potenziale in grado di provocare una rivoluzione progressista?
Potrebbe semplicemente trattarsi di una vetrina, e si intuisce facilmente l’esigenza, soprattutto da parte del Fianna Fail – il partito tradizionalmente “repubblicano” della Repubblica Irlandese – di lottare contro Lo Sinn Fein per la conquista dell’autentico Sacro Graal repubblicano. Allo stesso tempo c’è sempre il rischio che tali proclami -i morti feniani, ad esempio – ritornino a far parte della politica reale, questo nel caso in cui ci fossero nuovi sviluppi della situazione. Credo purtroppo che, se mettiamo da parte il repubblicanesimo e la secessione dal Regno Unito, in realtà lo stato del quale sono cittadina, l’attuale Repubblica Irlandese, non abbia ancora compreso appieno le proprie origini. Ad esempio, lo stato è sempre stato piuttosto confuso a proposito del 1916, se dovesse considerarsi il suo anno di fondazione oppure no, e lo Sinn Fein sfrutta questa confusione. Le infrastrutture materiali del paese devono essere sviluppate, e fortunatamente ciò sta accadendo, ma quelle civiche e istituzionali continuano ad essere in ritardo, ed è per questo che un chiarimento circa le proprie fondamente farà probabilmente parte di una fase più matura del proprio di sviluppo.

Hegel affermava che “coloro che non traggono insegnamento dalla storia sono destinata a riviverla.” In una recente visita a Dublino ho ripercorso alcuni dei luoghi storici della rivolta del 1916. Oggi ci sono nigeriani, africani e asiatici, una nuova popolazione abita quelle zone, e pochi tra questi nuovi residenti sembrano interessati a conoscere la storia Irlandese. C’è il pericolo che la storia venga in parte o completamente dimenticata?
Dimenticare non è necessariamente un male. Una volta ho detto che in Nord Irlanda dovremmo erigere una statua dedicata all’Amnesia e dimenticarci di dove l’abbiamo collocata. Ma il discorso è piuttosto sul possedere la capacità razionale di dimenticare ciò che ci trascina indietro e di ricordare invece ciò che può mandarci avanti. Il successo economico è in grado di sopprimere la memoria storica ma non certo di risolvere i suoi dissidi. E anche ammesso che la Celtic Tiger non sia destinata a subire alcun rallentamento – che rappresenterebbe un vantaggio per lo Sinn Fein – non è comunque affatto chiaro se le economie avanzate siano completamente immuni dal risorgere dei nazionalsimi. Un paese che non ha ancora superato il settarismo difficilmente riuscirà a convivere pacificamente con i nuovi immigrati. E questo lo si osserva anche in Nord Irlanda.

Ritiene che questo puntare al futuro di una nuova Irlanda più energica rischi di lasciare aperti degli interrogativi di matrice culturale? Cosa si può imparare dall’esperienza Britannica? Dobbiamo quindi aspettarci che nuove crisi prendano il posto delle vecchie?
Se la Repubblica e il Regno Unito si sono riavvicinati – chiaramente non prima che un po’ di tempo fosse trascorso – probabilmente dipende dal fatto che condividono lo stesso profilo economico Medio-Atlantitico. Come per quanto riguarda un’etica puramente capitalistica, s’incrementa la loro somiglianza anche nell’ambito dell’etica manageriale della quale, in qualità di accademico, sono perfettamente cosciente. Le politiche di gestione del New Labour vengono ampliamente imitate in Irlanda. Parte di questo processo ha a che fare con l’inevitabile sviluppo delle risorse scientifiche e tecnologiche in entrambe le nazioni, ma sono purtroppo I capitali a dettare legge nelle università e nei servizi pubblici britannici. Forse in entrambi i paesi è in corso una battaglia tra le priorità utilitaristiche del mercato e la riflessione sulla cultura e sulle arti. E quando uso il termine cultura non intendo riferirmi a concetti monolitici di identità culturali o alle identificazioni che da esse dipendono, quanto più alla grande varietà di prodotti che la gente crea e realizza.

Diverse recensioni sul lavoro teatrale di Tom Murphy, “The Alice Trilogy”, suggeriscono che l’autore si stia orientando in un territorio diverso rispetto a quello dal quale prese le mosse all’inizio degli anni ’60. Stiamo forse assistendo ad un tracollo dell’abilità di raccontare la storia locale irlandese inserendola in un contesto universale?
Alice TrilogyGli scrittori e gli artisti onesti sono sempre aperti alle nuove sfide – anzi, le anticipano – e persino le retrospezioni, come quella di Murphy o di John McGahern, possono rappresentare uno sguardo in avanti. Dal 1960 in Irlanda, sia al Nord che al Sud, si è verificata un’esplosione e una diversificazione delle arti. È come se la rivoluzione culturale di Yeats e di Joyce avesse raggiunto una nuova fase. E, in qualche misura, lo stesso Joyce celebrava la frammentazione. Del resto permane il rischio che la Celtic Tiger possa insidiosamente rendere commerciale la produzione artistica irlandese – sebbene alcuni artisti visuali si ribellino al fatto che il proprio lavoro abbia acquirenti e mecenati! Le arti non dovrebbero mai abbandonare la propria funzione critica, senza per questo stravolgere la propria natura, e ogni tanto è necessario che gli scrittori e gli intellettuali riescano ad essere sinceri con se stessi anche a prezzo di risultare emarginati. Ritengo che gli scrittori Nordirlandesi in particolare siano stati modificati – beh, non arriverei a dire arricchiti – da quanto è accaduto nella regione. E confido che continueranno a rispondere criticamente a questi eventi anche negli anni a venire.

Uno degli aspetti che sembrerebbero avvalorare la tesi di Kiberd è che numerosi grandi artisti di origine Irlandese abbiano raggiunto una maggiore chiarezza nel descrivere la loro esperienza dal vantaggio di trovarsi al di fuori del paese.
Beh, se vogliamo considerare la letteratura, ogni scrittore è in parte immerso e in parte estraneo rispetto al luogo che abita. Negli anni ’50, ad esempio, Philip Larkin riuscì a raggiungere una prospettiva rispetto al proprio contesto inglese lavorando e scrivendo da Belfast. Quando rientrò in Inghiletrra scrisse un poema intitolato “L’importanza di essere altrove”. Ma per uno scrittore l'”altrove” può essere determinante secondo modalità diverse e, allo stesso tempo, gli “altrove” possono essere molteplici. Il mio problema rispetto all’interpretazione di Kiberd è che legge “identità nazionale” dentro qualsisi testo analizzi. Le opere di letteratura irlandese non si occupano soltanto d’identità nazionale al pari di quanto non tutte le opere letterarie si occupano di mito. Pertanto qualsiasi scrittore Irlandese che si esprima nella lingua inglese sta esplorando le possibilità di tutti i generi e di tutte le forme letterarie a sua disposizione attraverso quel particolare medium linguistico. Ovviamente anche altre letterature esercitano la loro influenza. Ma la differenziazione nazionale, al pari di quella individuale, attraversa la letteratura in lingua inglese ed è proprio quest’incrocio di somiglianze e di differenze, sia all’interno che tra i due paesi, che rende gli studi comparati così affascinanti – al momento io stessa sono impegnata in studi letterari irlandesi-scozzesi. Quando ho avuto la possibilità di curare un’antologia di poesia del ‘900 Britannica e Irlandese, la sfida non è stata quella di mettere in ordine poeti Britannici (Scozzesi, Gallesi e Inglesi) contro poeti Irlandesi, quanto più quella di rintracciare le correnti letterarie e cross-culturali che la poesie incarna.
Sto dicendo insomma che l’ “altrove” è importante ma che possiede localizzazioni psichiche e fisiche differenti. In Nord Irlanda probabilmente apprezzo proprio questa accessibilità della differenza, che si concretizza nel trovarsi in tre posti diversi nello stesso momento. L’accordo del Venerdì Santo stabilisce i fili che definiscono con precisione le nostre coordinate entro i quattro punti cardinali. Certo, mi considero fortunata per avere la possibilità di fruire di questi molteplici punti di vista. Ma credo anche che non esista al mondo una condizione di assoluto mono-culturalismo, e in Nord Irlanda in troppi hanno preferito barricarsi in un buco o nascondersi in un tunnel per alimentare questa aspirazione monolitica. I protestanti che denunciano di trovarsi con le spalle al muro, si sono in realtà asseragliati volontariamente in quella posizione. Non riescono a comprendere se stessi, lasciando da parte la comprensione dell’ “Altro”. Ora, questo processo sembra essere più evidente sul versante unionista dal momento che questa comunità ha perso parte dei propri indicatori identitari in seguito alla sparizione di una cultura industriale e di un passato profilo di metropoli imperiale Protestante. La loro autopercezione è stata evidentemente destabilizzata prima dai Troubles e quindi dal Belfast Agreement. Ma mi sembra parimenti sfortunato anche il cipiglio con il quale la componente nazionalista rivendica la propria identità. Mi appare allo stesso tempo anacronistico e infondato. E mi spaventa il modo in cui la guerriglia armata sia stata recentemente sostituita da una guerriglia culturale. Fortunatamente sono ancora in molti, sia cittadini che associazioni, che si oppongono a questo tipo di rivendicazioni mono-culturali. Un esempio è rappresentato dal processo per il quale la memoria storica della Grande Guerra (il primo conflitto mondiale) sia ormai diventata un’eredità condivisa persino da alcuni membri dello Sinn Fein. È un esmpio di come una comprensione più profonda del contesto storico possa modificare le prossettive interpretative nel contesto contemporaneo.

Non c’è il rischio che questo tipo di opportunità comportino l’oblio della storia, dell’eredità, del senso di appartenenza al luogo, o, come lo definisce ATQ Stewart, approdino ad “un terreno limitato”?
Il localismo non ha bisogno di essere concettualemnte angusto – e considero “limitato” un aggettivo piuttosto infelice in questo contesto. Nuovamente, vorrei utilizzare la poesia come esempio. Una delle cose che la poesia Nordirlandese è riuscita a realizzare è stato il partire da questo piccolo posto, da quest’area ristretta, ed aprirla al punto tale da consentirle di abbracciare il mondo e di farsi abbracciare dal mondo. Non credo che si debba preoccupare, come ha fatto precendentemente, che la letteratura irlandese abbia perso la sua abilità. Anzi, potrà soltato essere arricchita dall’arrivo di nuovi immigranti che si porteranno dietro i propri “altrove”. Nuovamente, c’è una marcata differenza tra ideologie unitarie che si indeboliscono e i cambiamenti di contesto di una letteratura che ha sempre cercato di resistere a questo tipo di ideologie. È per questo che quel legame tra orizzonte locale e universale che ha caratterizzato la produzione letteraria e artistica nordirlandese potrebbe idealmente rappresentare in qualche modo un modello sociale per il futuro. L’impegno da perseguire è piuttosto quello di riuscire a rendere il locale e lo specifico liberatori piuttosto che riduttivi. Quando si ha un’idea limitata della propria storia, del proprio ambiente o della propria località, occorre cercare aiuto nell’approfondimento e nella costruzioni di connessioni più ampie.

Lei si è trasferita a vivere dal Sud al Nord. Heaney invece ha intrapreso il percorso contrario, spostandosi inoltre da Ovest ad Est e viceversa. Si tratta di località diverse tra loro e ciascuna delle quali possiede caratteristiche e norme culturali diverse. Qual è stata la sua personale esperienza nel relazionare una località all’altra?
Mi sono trasferita a Belfast nel 1963, e vivo tuttora un senso di shock culturale, insieme alla sensazione di essere un’outsider. È per questo che il Nord Irlanda per me è ancora un “altrove” e credo che sia questo che mi semplifica il compito di affrontare determinate discorsi rispetto a quanto invece non capito agli scrittori e ai critici locali. Invece di essere una cittadina del Nord residente a Dublino, rimango una cittadina del Sud residente a Belfast – o più probabilmente incastrata a metà strada. Credo che trasferirsi da Dublino a Belfast fosse, per la mia generazione, un viaggio più lungo di quanto non sia oggi. Ma credo anche che sarebbe bello se ci fosse un maggiore traffico di scambi tra il Nord e il Sud, che mi auguro arrivi con i cambiamenti economici. Ho una teoria personale secondo la quale soltanto cinque persone dalla contea di Kerry hanno mai visitato Belfast, e che le conosco tutte quante. Questo per sottolineare la distanza culturale che ancora esiste sull’isola (e che probabilmente rende Kerry la più coriacea roccaforte repubblicana dell’intera isola) ma anche per denunciare l’esistenza di un vergognoso sistema ferroviario. Torno a Dublino spesso, sebbene la mia relazione con la città sia complicata dal fatto che la Dublino della mia infanzia non esiste quasi più. Ma nei periodi più bui della storia, quando il Nord Irlanda era completamente asseragliato in se stesso, ho ritenuto importante mantenere i contatti con le persone e con gli scrittori che vivevano nella Repubblica. Anche gli scrittori in visita dalla Gran Bretagna hanno avuto un ruolo importante, ma la tendenza “revisionista” sviluppatasi nella Repubblica ha avuto un’importanza vitale per me. Sono consapevole del fatto che alcuni tra coloro che leggono ciò che scrivono mi considerano un’apologa unionista (una definizione tutt’altro che neutrale). Ma se avessi scritto esattamente le stesse cose vivendo a Dublino, sarebbe stato abbastanza normale definirmi una revisionista o semplicemente una residente di Dublin 4. Non che questa definizione goda necessariamente di eccessiva popolarità.

William Butler YeatsÈ stata la prospettiva di un’Irlanda unitaria quella che l’ha ispirata?
Spero di possedere sia una prospettiva inclusive di tutta l’irlanda (sebbene mi chieda perchè mai perchè sia più frequente che certe domande vengano rivolte ai protestanti e non ai cattolici) come pure una prospettiva inclusive dell’est e dell’ovest. Sebbene io critichi gli approcci letterari nazionalisti, chiunque si interessi di letteratura irlandese è inevitabilemnte influenzato dalla propsettiva di Yeats di una letteratura nazionale Irlandese che riguardi l’intera isola. Allo stesso tempo Yeats stesso era fortemente influenzato da scrittori Britannici ed Europei. Per questo è abbastanza ovvio che oggi mi interessi della cornice comparativa delle influenze tra Irlanda e Scozia, così come degli studi letterari che riguardano l’intero arcipelago e delle indagini di natura prettamente storica. Il modello comparativo e storiografico è divenuto via via più prominente specialmente nell’ambito degli studi letterari del periodo precedente a quello moderno. Per quanto riguarda il periodo moderno, sono gli approcci nazionalista e post-coloniale (più che le idee di Yeats) che oggi tendono a prevalere nei circoli accademici, e questa dipende prevalentemente dalla rivolta di Pasqua del 1916. Nel periodo vittoriano, ad esempio, sarebbe andata diversamente.

Può fare un esempio?
Dunque, Cairn Craig, che dirige il Research Institute for Irish and Scottish Studies presso la Aberdeen University, ha tenuto una lettura la scorsa settimana. Cairn ha evidenziato come i concetti di letteratura nazionale in queste isole si siano formati durante il diciannovesimo secolo, e ha dimostrato in che misura queste idee siano interdipendenti tra loro.

Si tratta della concezione secondo la quale durante l’epoca Vittoriana esisteva una prospettiva delle due isole separate?
Conquering EnglandOccorre non dimenticare mai che a quei tempi l’Irlanda possedeva una propria rappresentanza a Westminster, quali che fossero i conflitti e le discussioni e qualsiasi opinione si avesse a proposito dell’Unione. I rapporti tra Irlanda e Gran Bretagna erano gemellari secondo modalità che alcune narrative storiche oggi vorrebbero rinnegare. D’altro canto ritengo che una delle ragioni alla base della recente mostra che esibisce la conquista irlandese della Londra vittoriana risieda proprio nella volontà di dimostrare questi rapporti, nonchè di combattere la nozione per la quale l’irlandese in Gran Bretagna è sempre stato dipinto come la vittima della Great Famine o il povero immigrante degli anni ’40 e ’50. Ovviamente tutto dipende da quale narrativa si sceglie e si idealizza, e in un mondo ideale tutte le storie sarebbe analizzate proporzionalmente al loro significato. Nonostante gli scontri, penso veramente che ci sia stato uno straordinario periodo di sviluppo per tutti i settori di studi Irlandesi a livello accademico, così come un periodo di eccezionale produzione delle arti in Irlanda. Si è inoltre verificato un incremento nella redazione e nell’articolazione di memoirs e di autobiografie. Per questo sono ottimista circa il fatto che ci siamo finalmente lasciati alle spalle quel periodo, circoscrivibile alla metà degli anni ’50, durante il quale non si poteva parlare di molte, troppe cose.

La capacità di un’autobiografia di attraversare le grandi narrative è un concetto che lei ribadisce con vigore nel suo saggio.
Ho l’impressione che quando qualcuno scrive un’autobiografia ci sia un presupposto interpretativo in Irlanda per il quale tale testo debba avere necessariamente a che fare con la storia della nazione. In realtà, la maggior parte delle autobiografie sembrano essere scritte in completo disaccordo con questa ricerca della verità rivelata – così come sembrano in aperto contrasto con la celebrazione dell’Unione con la Gran Bretagna. Nel saggio uso l’esempio della mia famiglia mista – Irish-Scottish, cattolica, presbiteriana – e delle origini anglo-ebraiche di mio marito, che è nato a Belfast. In realtà mi sembra che la copiosa quantità di autobiografie redatte nel paese, l’inclinazione autobiografica Irlandese, intenda avvisarci che la consueta narrativa è adatta ad esprimere qualcosa di diverso – quasi ci fosse l’urgenza di raccontare qualcosa di nuovo, qualcosa che ancora non è stato preso in considerazione. Mi viene in mente, ad esempio, “The Speckled People”, di Hugo Hamilton.

Ritiene che questo processo abbia avuto effetti nell’ambito delle relazioni culturali tra ed entro le isole? Potrebbe trattarsi dell’idea che una voce individuale sia in grado di spezzare il coro delle narrative collettive e che molteplici autobiografie siano funzionali, attraverso la rappresentazione di dettagli conflittuali, ad evidenziare i contrasti e le differenze?
Penso che sia vero, com’è vero che le biografie Irlandesi vengono lette in Gran Bretagna, che cittadini Britannici hanno raccontato la loro vita in Irlanda – e tutto ciò è stato, e continuerà ad essere, parte del quadro. L’istituto di Studi Irlandesi presso la Queens’ University è al momento impegnato in un progetto sulla “memoria”, un progetto estremamente importante all’interno dell’ateneo. Non prende in considerazione soltanto le commemorazioni, ma anche le autobiografie e i memoirs. Ho notato che nel testo “Lives Entwined” tutti ad un certo punto diventano autobiografici.

Ma in ultima analisi, dove ci porterà tutto questo? Siamo forse destinati ad assistere ad una fluttuazione del concetto d’Irlanda che si dissiperà per poi disperdersi in una specie di oceano universale?
Samuel BeckettNon vedo perché dovrei lanciarmi in previsioni profetiche sul futuro dell’Irlanda o del Nord Irlanda, o semplicemente saperne più e meglio di altri. Ma lei mi sembra nostalgico di una qualche perduta unità. Mi chiedo, ma è mai esistita? Ancora una volta mi rifaccio all’idea di Yeats, quindi ad un concetto di letteratura nazionale, non nazionalista. Vorrei inoltre sottolineare che ciò che a mio avviso ha reso la letteratura Irlandese così forte è stata proprio la relazione tra elementi profondamente locali ed altri di respiro più universale – la nozione di Yeats di raggiungere l’universo con una mano di velluto. Se questo ha rappresentato un buon modello per la letteratura credo che possa rappresentarlo anche per la società. Penso che la tendenza nazionalista a distorcere il localismo irlandese e una narrativa totalitaria dell’Irlanda sono probabilmente sono più vicine al diciannovesimo secolo che all’oggi. Ad ogni modo, le narrative irlandesi sono state in continuo mutamento. E forse il periodo post indipendenza, nel Free State e successivamente nella Repubblica, e in quello che poi diventò il Nord Irlanda, finirà per essere visto come qualcosa di disastroso e persino di eccezionale. Credo che ci stiamo ancora risollevando dalle soffocanti interpretazioni che hanno prevalso in quegli anni. È questa la ragione per la quale gli scrittori di quei tempi furono spesso dei dissidenti e per la quale molto continuano tutt’oggi a mantenere quast’atteggiamento di contestazione. Non credo che il problema si traduca nell’allontanarsi dal nazionalismo e nel dissolversi nell’oceano. Credo piuttosto si tratti di andare oltre e avanti rispetto a concetti riduttivi che, tra le altre cose, mascherano le migliori caratteristiche della nazione e dell’unione.

Questa è l’idea secondo la quale la traumatica separazione tra Nord e Sud sia stata deleteria per il paese ma abbia rappresentato un impulso dal punto di vista creativo e culturale. Ha probabilmente prodotto uno straordinario stimolo artistico ad assumere una posizione di contrasto e una maggiore consapevolezza del pericolo rappresentato dalla vita moderna – la completa devozione ai benefici del capitalismo e ai vantaggi del libero mercato.
Rivestire un ruolo d’opposizione può ispirare uno scrittore ma anche stremarlo. Le energie degli scrittori Irlandesi potrebbero essere impegnate in modo diverso, o magari le necessità oppositive potrebbero semplicemente aver modificato le loro attitudini. Allo stesso tempo, tutti gli scrittori Irlandesi, passati e presenti, meritano di essere letti a più livelli. Quando il processo di pace ebbe inizio, arrivarono a Belfast dei giornalisti e chiesero ai poeti e agli scrittori: “E adesso di cosa parlerete?”, che era una domanda ridicola. A parte il fatto che per esorcizzare completamente il settarismo saranno necessarie decine di anni, come pure per il Nord Irlanda riuscire a cambiare il proprio profilo, ammesso che ci riuscirà, ma va detto che l’arte e la letteratura non è mai stata esclusivamente “a proposito dei troubles”, e più precisamente non è mai stata “a proposito” in generale. E l’Irlanda precedente alla Celtic Tiger ha contribuito all’arte solo in senso negativo. Beckett dubitava che l’uomo medio irlandese fosse disposto ad offrire un peto nei sui calzoni di velluto per una qualsiasi forma d’arte. E questo è probabilmente vero anche oggi nei suoi vestiti costosi. Forse Beckett era troppo severo. Ma la situazione dei veri scrittori e degli artisti non cambia con le circostanze economiche, la dinamica umana rimane la stessa.

C’è in qualche modo il desiderio per una prospettiva irlandese nazionale inclusiva di tutta l’isola e allo stesso tempo ci sono delle imprecisioni dal punto di vosta numerico. E forse è anche vero che le pubblicazioni turistiche dedicate a percorrere l’isola da Est ad Ovest superano quantitativamente quelle dedicate all’attraversamento da Nord a Sud.
Ogni volta che sono stata in Inghilterra o in Scozia ed ho avuto bisogno di prendere l’aereo, il traffico all’interno degli aereoporti nordirlandesi mi ha sempre stupito. È come se la popolazione passasse la maggior parte del suo tempo per aria e lo stesso vale per l’aeroporto di Dublino. Non sono sicura di quale potrebbe essere la soluzione a questo problema – la tendenza degli irlandesi del Sud a guardare verso Londra e quella dei protestanti del nord a rivolgersi verso Dundee. Di nuovo, probabilmente dipenderà dalla capacità di promuovere un traffico economico – ed anche educativo – più intenso. Ben pochi studenti del sud scelgono infatti gli atenei del nord. Ed è piuttosto assurdo che ci siano così pochi voli che collegano il nord con il sud e un’unica linea ferroviaria che raramente viaggia con la regolarità, o la velocità, con la quale dovrebbe. È più semplice arrivare in aereo a Edimburgo che in treno fino a Cork. Ma le relazioni letterarie e intellettuali continuano, e di nuovo vanno prese a modello. La scorsa settimana ho partecipato al Patrick Kavanagh week end presso il Patrick Kavanagh Centre in Co. Monaghan. Se ci si reca in quella località ci si trova nella repubblica, ma nella parte che guarda verso nord, mentre se si va in Mayo, cosa che io faccio ogni anno, la distanza culturale è maggiore. Uno dei problemi delle narrative unitarie, sia nazionaliste che unioniste, è che offuscano la straordinaria ricchezza regionale e storica dell’isola. Questo ha probabilmente nuociuto in particolar modo all’Ulster, ma anche la Repubblica Irlandese e la Gran Bretagna potrebbero soffrirne.

Traduzione a cura di Francesca Fodale

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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