Martina Buckley, Cork
Devo ammettere che sono andata a vedere The Wind That Shakes the Barley quasi unicamente per il mio amore per Loach, Cillian Murphy e Co. Cork. Non mi sono lasciata influenzare dalle polemiche, dalle critiche, delle ovazioni. Di Cannes non me ne importava proprio nulla. Sapevo che sarei stata parziale, che avrei appoggiato i partigiani dall’accento cantilenante e avrei sussurrato improperi ai Black & Tans.
Da qui a dire che il film è anti-inglese ne passa di acqua sotto i ponti. I Black & Tans erano la feccia dell’esercito britannico. Non erano certo un esempio rappresentativo dell’inglese medio del tempo. I vertici militari li mandarono nella “colonia” adiacente per levarseli di torno, per impedirgli di combinare guai nella madrepatria. Le loro azioni in Irlanda vennero criticate pesantemente da molti parlamentari britannici del tempo, incluso Oswald Mosley, ben noto fascista e non certo di idee liberali o filo repubblicane.
La conclusione a questo punto sarebbe semplice: gli irlandesi armati erano partigiani che difendevano il loro paese dalle atrocità di un gruppo di mercenari scoordinati e senza etica militare che andavano in giro a terrorizzare la popolazione locale. Partigiani contro una potenza colonialista che ne occupava il paese e ne sfruttava le risorse.
Ma è davvero così semplice? Il film è davvero così anti-britannico?
Ho visto invece rappresentata una guerra fratricida. Irlandesi che si sparavano addosso l’un l’altro. Partigiani che diventavano terroristi ammazzando a sangue freddo soldati inglesi con agguati sanguinari.
Certo, indiscutibilmente, atti di partigianeria. Bilanciati all’estremo sulla linea sottile che li divide dal terrorismo. Ma qual è la differenza? Chi ha ragione in Iraq, gli americani invasori in nome della libertà o il suicida che fa esplodere un convoglio di soldati in nome di una religione? Ed in Italia nel ’45, li condanniamo i partigiani che appendevano Mussolini a testa in giù e lanciavano bombe sulle camionette dei soldatini adolescenti, oppure cerchiamo di capire?
Nel 1920 a Cork successe di tutto. Terence McSwiney si lascia morire di hunger strike in una prigione britannica, in cui era stato incarcerato perché a capo della sezione IRA corconiana. Il centro storico di Cork, City Hall compresa, viene incendiato dai Backs & Tans e Auxiliaries, incendio seguito da episodi di sciacallaggio da parte dei sopracitati militari. La memoria collettiva comincia a riempirsi di tragica annedotica, quasi tutte le famiglie nella contea di Cork annoverano un parente,un bisnonno, una lontana cugina malmenata, uccisa, stuprata dai Black & Tans.
La contea reagisce. La gente si organizza, trova le armi, e spara. Sfido chiunque in una situazione del genere a mantenere lo spirito critico, la mente lucida e aperta.
Nel film Damien è un medico. Dapprima riluttante ad impugnare il fucile, alla fine cede alla logica della disperazione che ogni sistema repressivo causa ai repressi, e spara. Ma non spara solo agli “inglesi”. Spara ai suoi vicini di casa, agli amici di infanzia. È la guerra civile, evento inevitabile alla fine di qualunque colonizzazione, che aggiungerà ulteriori vittime alla memoria collettiva degli irlandesi.
Solo dieci anni fa, un film così sarebbe stato inconcepibile. Si sarebbe gridato all’apologia al terrorismo. In realtà questo film non ha né buoni né cattivi. Non ci sono eroi, solo fratelli che si ammazzano tra di loro. Gli Inglesi, i Black & Tans, i mercenari tanto odiati ad un certo punto scompaiono dallo schermo, lasciando la trama e gli avvenimenti totalmente al tragico dilemma della guerra civile.
Certo, guerra causata dall’occupazione. Causata dalla confusione, incertezza e debolezza di centinaia di anni di repressione. Ma in ogni caso un doloroso ricordo di grilletti premuti da irlandesi contro irlandesi.
Un film da vedere senza pregiudizi. Soprattutto, un film da vedere.