Vittorio Possenti, Avvenire
Lettera aperta: Per la prima volta Francis Fukuyama critica l’intervento americano in Iraq, però affossa l’Onu. Senza offrire vere alternative Il pensatore neocon mette in discussione la politica estera della superpotenza, ma non la dottrina della guerra preventiva.
Il filosofo Possenti rilancia: “Lei propone istituzioni internazionali diverse e in concorrenza tra loro: un modo sottile per mantenere l’egemonia Usa. E chi controllerà poi il suo potere?”
Caro Fukuyama,
apprezzo il suo America al bivio, che individua nella politica più che nell’economia il nodo della situazione mondiale, senza pie speculazioni sulla possibilità di avanzare verso beni pubblici globali mediante il solo mercato. Le sue ripetute critiche per la guerra all’Iraq all’amministrazione Bush lasciano il segno, sebbene sembri talvolta che il limite di questa stia solo nel non essersi preoccupata di gestire il consenso esterno e la fase della nation building irakena. Molti le avevano già formulate con dovizia di argomentazioni prima dell’attacco del marzo 2003, segnalando le gravissime implicazioni della dottrina della guerra preventiva, annunciata nel Documento sulla sicurezza nazionale americana del 2002. Già allora non pochi prevedevano gli effetti negativi che un intervento del genere avrebbe avuto in tante direzioni, non ultima quella di una moltiplicazione del terrorismo, come è poi accaduto.
Naturalmente solo la superpotenza, dal momento che la Carta dell’Onu (violata nel caso Iraq) vieta tassa tivamente qualsiasi forma di guerra preventiva. Che farne dell’Onu? America al bivio lo lascia benevolmente sussistere, dopo averne decretato il fallimento: “Le Nazioni Unite non sono state capaci né di ratificare la decisione degli Stati Uniti di entrare in guerra, né di impedire a Washington di agire per conto suo. Da entrambe le prospettive hanno fallito”.
Ragionamento curioso! Ratificare era impossibile perché la guerra preventiva è vietata dalla Carta dell’Onu e dal diritto internazionale, che è qualcosa di irrilevante solo per gli arroganti. E se non si riesce a fermare il prepotente di turno, la responsabilità sarà non del prepotente ma di chi non ha alcun mezzo per fermarlo? Il nuovo roosveltismo realistico sembra un antiroosveltismo, che intende rendere marginale l’Onu. L’ammissibilità della guerra preventiva, che ci riporterebbe all’epoca delle cannoniere e degli imperi, chiama in causa la sovranità. America al bivio ne tratta ponendo al centro la sovranità degli Stati, riprendendo il filo di Westfalia, ma 350 anni dopo. Il perno gira attorno agli Stati che non potrebbero essere sostituiti da nessun altro attore transnazionale: in tal modo si creano istituzioni internazionali che spesso sono fantocci nelle mani degli Stati più potenti. A molti questo centraggio sulla sovranità sembrerà un grande passo indietro nel cammino verso un nuovo ordine internazionale, che deve edificare un approccio internazionalista e poi mondialista oltre la sovranità moderna. Nella sua posizione ci sarebbe qualcuno incaricato di curare gli scopi globali?