Derive e Approdi

Intervista a Claudio Mutti

Junges Forum n. 3, gennaio 2005

origini: numero monografico su evolaIn Italia e anche in altri paesi europei c’è una progressiva cooperazione tra forze islamiche e forze di destra. In Germania, invece, molta gente di destra è piuttosto critica nei confronti dell’Islam. Quali sono i principali motivi di ciò?
In Italia chiamiamo “destra” quell’ala della classe politica collaborazionista che ha in Bush il suo attuale punto di riferimento, mentre l’ala “sinistra” della medesima classe politica, dopo essere stata agli ordini di Clinton, ha sperato di potersi mettere agli ordini di Kerry.
Il caso dell’estrema destra (i neofascisti e la cosiddetta destra radicale) è diverso, ma è confuso e contraddittorio. In un certo settore di questa nebulosa, è sempre stato presente un esplicito atteggiamento filoislamico, le cui origini sono dovute ai seguenti fattori:

  1. la solidarietà storica del fascismo e del nazionalsocialismo coi popoli musulmani;
  2. la presentazione dell’Islam fatta dai pensatori tradizionalisti, soprattutto Julius Evola;
  3. il manifestarsi dell’Islam, negli anni settanta del XX secolo, come forza spirituale e politica in lotta “contro i medesimi nemici”.

Tuttavia, all’interno di questa nebulosa si può notare una caratteristica schizofrenia, che consiste nell’assumere posizioni filoislamiche (o filoarabe) in relazione alla Palestina e all’Iraq, e posizioni antislamiche (o antiarabe) in relazione all’Italia, dove il flusso immigratorio viene considerato come una “invasione islamica”, a causa di una percezione più irrazionale ed emozionale che non obiettiva e realistica.
Naturalmente, questa schizofrenia espone i militanti dell’estrema destra e della destra radicale al rischio di diventare alleati oggettivi della destra di governo, che è antieuropea, filoamericana e filosionista.

Senza alcun dubbio, la cosiddetta società multiculturale è un pericolo per l’Europa. Secondo Lei, in che modo l’Islam potrebbe agire e in che modo potremmo evitare un melting-pot come quello americano?
Il modello sociale comunemente chiamato “multiculturale” è in realtà monoculturale, perché esso prevede l’egemonia, se non l’esistenza esclusiva, di un’unica cultura: la Zivilisation occidentale, che negli USA è giunta al suo apice trionfale. Il modello occidentale, che è stato imposto a una parte dell’Europa nel 1945 e ad un’altra parte nel 1989, considera l’Islam come il proprio nemico principale. “Per l’Occidente, – scrive Samuel P. Huntington – il vero problema non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam di per sé”.

Si dice che l’Islam non sia interessato alle differenze di razza. Un’influenza islamica in Europa potrebbe affrettare il miscuglio razziale?
L’Islam afferma in modo radicale la preminenza del fattore spirituale su quello biologico; ma ciò non significa affatto che l’Islam non riconosca le differenze razziali e non ne tenga conto. La dottrina islamica relativa a questo argomento si trova sinteticamente espressa nel seguente versetto cranico: “Tra i Suoi [di Dio] segni c’è la creazione dei cieli e della terra e la varietà delle vostre lingue e dei vostri colori” (XXX, 23). L’Islam considera dunque “lingue e colori”, ossia i fattori dell’identità culturale e razziale, come “segni” divini. Non è un caso privo di significato, che l’Islam sia stato abbracciato da Ludwig Ferdinand Clauss, il quale aveva esposto in Rasse und Charakter (1936) la sua veduta psicoantropologica del fatto razziale, e da un altro teorico della razza quale Johannes von Leers.

CoranoSi dice che l’Islam sia una religione molto aggressiva, la quale non accetta nessun’altra religione. Julius Evola difese l’idea di un Imperium sopranazionale e sopraconfessionale. Ma l’Islam può tollerare altre religioni accanto a sé?
Storicamente, ogniqualvolta l’Islam ha assunto responsabilità di governo, esso ha riconosciuto le altre religioni e ha garantito protezione ed autonomia ai seguaci di esse. Nell’Impero omayyade i cristiani furono rispettati al punto che un loro celebre santo, Giovanni Damasceno, diventò ministro del Califfo; nella Spagna musulmana fiorì la cultura dei cristiani mozarabi; nell’Impero ottomano il Patriarca ortodosso ebbe sempre la dignità di un ministro del Sultano e le comunità cristiane godettero della più ampia autonomia; nell’India della dinastia Mogol, indù e buddisti furono legalmente equiparati alla “gente del Libro” e godettero dei privilegi connessi a tale condizione; oggi, nella Repubblica Islamica dell’Iran I cristiani e gli zoroastriani hanno I loro rappresentanti nel Parlamento di Teheran.
Per quanto riguarda Julius Evola, la sua opinione circa l’Islam era estremamente positiva. In Rivolta contro il mondo moderno si può leggere che l’Islam è una “tradizione di livello superiore alle credenze che conquistarono l’Occidente”.

Cartina EurasiaL’idea di Eurasia, ben presente in Italia e in altri paesi europei, in Germania non è molto diffusa. Sulla nostra rivista “Junges Forum” noi abbiamo cercato di presentare le vedute di Aleksandr Dugin. Lei pensa che il progetto eurasiatista sia realizzabile? Quali sono le idee che, a parte la geopolitica, possono unire l’Eurasia?
Fino alla seconda Guerra mondiale, stati nazionali come la Germania, l’Italia o la Francia avevano le dimensioni territoriali, demografiche ed economiche sufficienti per essere indipendenti, mentre oggi l’indipendenza appartiene solo a quelle realtà politiche che dispongono di dimensioni continentali. Nella prima metà del XX secolo ciò fu compreso da Karl Haushofer, che enunciò il concetto geopolitica di un Kontinentalblock eurasiatico da Dublino a Vladivostok.
È ovvio che il Kontinentalblock eurasiatico nascerà da una necessità geopolitica; ma le sue fondamenta più profonde si trovano nell’unità spirituale dell’Eurasia: un’unità che trascende la molteplicità delle forme culturali.

Indipendentemente dai nostri governi, noi che cosa possiamo fare?
La pars destruens della nostra azione consiste nello smascherare l’essenza antieuropea della nozione di “Occidente”, che mira a perpetuare la subordinazione dell’Europa agli Stati Uniti d’America e a scavare un profondo fossato tra l’Europa e il resto del continente eurasiatico. Bisogna denunciare la tesi dello “scontro di civiltà” per quello che essa è: uno strumento ideologico dell’imperialismo statunitense che mira a fare esplodere una serie di guerre civili in Eurasia a profitto degli Stati Uniti.
MedioevoSe “scontro di civiltà” deve esistere, esso non opporrà l’Islam al Cristianesimo, ma la civiltà eurasiatica alla barbarie americana.
Come pars construens, bisogna creare una coscienza eurasiatica, sviluppando le indicazioni contenute nelle opere che hanno mostrato l’unità spirituale dell’Eurasia; non penso soltanto ad autori “tradizionalisti” quali Guénon ed Evola, ma anche a studiosi di storia delle religioni quali Mircea Eliade e Giuseppe Tucci, a storici come Franz Altheim e Lev Gumilev, a teorici “classici” dell’eurasiatismo quali Nikolaj Trubeckoj e Petr Savickij.

L’idea di Eurasia può essere vista come una rinascita dello spirito del Sacro Impero medioevale?
Con Carlo Magno, il Sacro Romano Impero unificò lo spazio compreso tra il Mare del Nord e il Mediterraneo, tra l’Ebro e l’Adriatico. Con Federico II, “il genio tra gl’imperatori tedeschi” (Nietzsche), l’Imperatore che parlava latino e tedesco, greco e arabo e scriveva poesie in italiano, il Sacro Impero fece il primo passo in direzione di una sintesi eurasiatica: dopo essere entrato in possesso di Gerusalemme grazie a un programma di “pace e amicizia con l’Islam” (Nietzsche), il grande Staufen riunì nella propria persona i caratteri di un Imperator romano e di un Koenig germanico, di un basileus bizantino e di un sultân musulmano. Non è un caso, se i musulmani lo paragonarono ad Alessandro il Macedone, che per primo aveva cercato di unire l’Europa e l’Asia. Oggi, all’alba del terzo millennio, l’idea eurasiatica irradia il medesimo spirito imperiale sul grande spazio compreso tra l’Atlantico e il Pacifico.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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