Les Enfants Terribles

L’immorale “turismo del conflitto” a Belfast

di Chris Jenkins

Gli autobus girano per Belfast, portando i turisti fin sotto le peace line e dove esplosero le bombe. Questo è semplicemente sfruttamento

Maze prison 1979Visita l’Irlanda del Nord. Vieni a Belfast e guarda la nostra magnifica città – ringiovanita, rigenerata e con una nuova energia. Fai una passeggiata per le strade all’ombra dei muri di divisione. Perché non ti fermi per una foto scattata accanto ad un murales di uomini in passamontagna? Se lo vuoi veramente, perché non scrivei un messaggio di speranza e di pace su uno dei nostri muri, un segno veramente simbolico di solidarietà umana?

È sorprendente che, data la mancanza di umiltà nello sfruttamento del conflitto in Irlanda del Nord, una campagna pubblicitaria realizzata con il testo scritto qui sopra non è ancora stata lanciata. Il turismo in Irlanda del Nord è aumentato vertiginosamente nell’ultimo decennio. La percezione di una maggiore stabilità e di relativa pace ha attirato persone da tutto il mondo per vedere le molte cose che l’Irlanda del Nord dovrebbe e deve pubblicizzare al mondo: le Giant’s Causeway, le valli di Antrim (Glens of Antrim), i laghi di Fermanagh.

Tuttavia, c’è qualcosa di profondamente immorale per la rapida espansione del settore del “turismo di conflitto”. Gli autobus penetrano nel cuore della città di Belfast per permettere ai turisti per ammirare le possenti mura che dividono le comunità, i murales raffiguranti la violenza. I turisti scattano foto delle peace line che non sono consegnate alla storia, ma sono parte della vita Belfast: i bambini giocano a calcio contro i muri che i turisti affollano. I luoghi e le persone stesse sono diventate uno spettacolo, un’attrazione.

Se questa fosse Storia forse sarebbe più accettabile – ma non lo è. Questi muri sono ancora una parte molto reale della vita quotidiana delle comunità dell’Irlanda del Nord. I nostri politici possono dire il contrario – che ora siamo in pace, e che nulla può destabilizzare il nostro progresso – ma le divisioni non vengono rimosse.

Come paese, siamo arrivati ​​ad ottenere i guadagni finanziari che possono essere fatti attraverso la commercializzazione del nostro conflitto esagerando anche la “stabilità” del Nord; dipingendo il quadro di coloro che dissentono come di una minoranza senza alcun sostegno. La realtà viene manipolata, la storia sfruttata.

Un esempio è la bomba di Shankill Road del 1993, che uccise 10 persone. Compagnie turistiche fanno i soldi con quella tragedia; i turisti si recano sul sito della bomba e scattare fotografie. I residenti di Shankill Road vanno avanti con la loro vita, i soldi non filtrano verso il basso. Il processo li passa.

Proprio la settimana scorsa Peter Robinson, il primo ministro dell’Irlanda del Nord, ha descritto la riqualificazione del sito in cui sorgeva il carcere di Maze (tragicamente noto per alloggiare i prigionieri politici durante i Troubles) come una “mecca per i turisti”. Il sito di Maze/Long Kesh ha bisogno di un ruolo all’interno del nostro processo di ricordo del conflitto, ma non un ruolo commerciale. La proposta di trasformazione in “centro di risoluzione dei conflitti” (al costo di 20 milioni di sterline) non è solamente un altro esempio di come la politica stia facendo un’inversione di marcia, ma anche della tendenza di marginalizzare l’etica a favore di presunti guadagno economici.

Io non sono contro il turismo – piuttosto il contrario. Ma mi sembra che gli aspetti dell’attuale riproposizione del marchio di Belfast non sono solo altamente immorali, ma allo stesso tempo tolgono qualcosa alla realtà ed alla gravità della nostra storia. Abbiamo bisogno di ricordare e dobbiamo riflettere – queste cose aiuteranno la nostra rticonciliazione come società. Ma non abbiamo bisogno dello sfruttamento del nostro conflitto.

Belfast’s immoral ‘conflict tourism’

by Chris Jenkins

Buses drive into Belfast to allow tourists to gape at the massive walls and sites of bombings. This is simply exploitation

Visit Northern Ireland. Come to Belfast and see our magnificent city – rejuvenated, regenerated and re-energised. Take a walk through the streets in the shadows of the division walls. Why not stop to get your photo taken beside a mural of men in balaclavas? If you really want, why not write a message of hope and peace on one of our walls, a truly symbolic sign of human solidarity?

It is surprising that given the lack of humility in Northern Ireland’s exploitation of conflict, that an advertising campaign using the language above has not been launched yet. Tourism in Northern Ireland has rocketed within the last decade. The continued perception of increased stability and relative peace has attracted people from all over the world to see the many things that Northern Ireland should and does advertise to the world – the Giant’s Causeway, the Antrim glens, the Fermanagh lakes.

However, there is something deeply immoral about the rapidly expanding “conflict tourism” sector. Buses drive into the heart of inner city Belfast to allow tourists to gape at the massive walls dividing Belfast’s communities – murals depicting violence. Tourists take photos of the division lines that are not consigned to history, but are a part of living Belfast: children play football against the walls that tourists flock to. The places and the people themselves have become a spectacle, an attraction.

If this were history perhaps it would be more acceptable – but it’s not. These lines are still a very real part of everyday life for communities in Northern Ireland. Our politicians may say otherwise – that we are now at peace, and that nothing will destabilise our progress – but divisions aren’t removed.

As a country, we have come to realise the financial gains that can be made by marketing our conflict while also exaggerating the “stability” of Northern Ireland; painting a picture of those who dissent as being in a vast minority with no support whatsoever. The reality is manipulated, history exploited.

An example is the 1993 Shankill bomb that killed 10 people. Touring companies make money from that tragedy; tourists stand at the site of the bomb and take photos. The residents of the Shankill Road carry on, the money doesn’t filter down. The process passes them by.

Just last week Peter Robinson, Northern Ireland’s first minister, described the redevelopment of the Maze prison site (infamous for housing political prisoners during the Troubles) as being a “mecca for tourists”. The Maze/Long Kesh site needs a role within our remembrance process, but not a commercial role. The proposed “conflict resolution centre” for the site (at a cost of £20m) is not just another example of politicians U-turning all over the place, but also of the entire trend of ethics being sidelined for supposed financial gain.

I am not against tourism – quite the opposite in fact. But it seems to me that aspects of the current rebranding of Belfast are not only highly immoral, but also detract from the reality and the severity of our history. We need remembrance and we need reflection – such things will aid our reconciliation as a society. But we don’t need the exploitation of our conflict.

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