Distretto Nord

Operazione Banner, The End

Operation Banner, The End

René Querin, LET newsboard editor

Termina l’Operazione Banner. 38 anni di vigilanza e offensiva nella provincia si chiudono. L’IRA non esiste piu’; la “normalizzazione” è in stato avanzato. L’Irlanda del Nord resta saldamente nelle mani di Londra. L’esercito Britannico da 16mila uomini si riduce a 5000 unità. Nuovi dipartimenti degli artificieri della Psni pronti a fronteggiare l’offensiva dissidente.

Trentotto anni di presenza costante e continua per le strade dell’Ulster britannico, adesso le truppe inglesi hanno cessato le operazioni militari.

Non si tratta di una scelta improvvisa, ma di un lungo e lento processo di “normalizzazione”, cominciato ancor prima degli Accordi del Venerdì Santo nel 1998 e terminato ieri; quando l’esercito inglese ha annunciato pubblicamente la propria uscita di scena dal conflitto più lungo mai avvenuto nell’Europa moderna.

Truppe inglesi
Truppe inglesi
Trentotto anni sono passati dal lancio di “Operazione Banner”. Era il 14 agosto 1969 quando venne chiesto all’esercito di inviare un piccolo contingente di truppe per controllare l’ordine nei distretti a seguito della violenza esplosa durante la marcia degli Apprentice Boys. Scontri che durarono per ben due giorni a cominciare dall’allora 12 agosto. I primi uomini a sbarcare nella provincia furono 400 soldati del reggimento Principe di Galles. Dopo di loro si sono succeduti quasi tutti i corpi dell’esercito di Sua Maestà. Durante tutti questi anni ben 300mila soldati hanno pattugliato la provincia e dislocati in un centinaio di caserme ultrafortificate.

Inizialmente impiegati per proteggere i quartieri repubblicani dalla furia lealista, furono paradossalmente accolti con tè e pasticcini dagli abitanti di West Belfast. Non durò a lungo. Col tempo si sono trasformati nel nemico da combattere, la storia la conosciamo già. L’Ira e le altre formazioni paramilitari repubblicane identificavano i militari inglesi in forza di occupazione e braccio armato di un governo che li costringeva a sopportare soprusi ed angherie.

I caduti del conflitto sono stati 763: vittime del terrorismo incrociato di quegli anni. L’ultimo deceduto risale al 1997 a Bessbrook in South Armagh. Un ufficiale, Stephen Restorick, di guardia ad un posto di blocco, venne freddato da un cecchino dello Sniper Team del Provos nel Bandit Country. Si dice da oltre due chilometri con un Barret Light Fifty.

Sono state 309, invece, le vittime provocate dagli interventi dell’esercito, compresi i 13 manifestanti, più uno, per i diritti civili deceduti a Derry durante la “Domenica di Sangue” del 30 gennaio 1972.

Elicottero in Armagh
Elicottero in Armagh
“Credo che oggi siano tutti felici”, sono le parole del colonnello Wayne Harber, mentre con gli ultimi soldati del reggimento Principe di Galles lasciava la base di Bessbrook Mill: “Ho servito qui per 27 anni, ma l’unica a essere costantemente sconfitta è stata la popolazione civile nordirlandese. L’esercito per le strade è un’aberrazione”.

Da oggi la sicurezza in Ulster viene garantita esclusivamente dal Police Service of Northern Ireland, la polizia che ha cambiato nome dopo gli Accordi del 1998, mantenendo pressoché inalterato il proprio ruolo nella provincia. Training artificieri sono stati effettuati e nuovi dipartimenti della Psni militarizzati sono pronti a gestire l’attuale livello offensivo delle dissidenze repubblicane.

Tuttavia, sono mesi che Londra preparava il rientro delle truppe. Pezzo per pezzo sono state smantellate le infrastrutture, i reticolati, le torrette di osservazione e gli elicotteri. Velivoli che un tempo erano in volo tutto il giorno per monitorare la situazione sul terreno. Più di trecento voli al giorno solo in South Armagh dove pattugliare su gomma e a piedi non era possibile a causa della ostilità nell’area.

Soldato in pattuglia
Soldato in pattuglia
Le verdi Land Rover anche, oggetto di frequenti lanci di molotov, stanno rientrando sul suolo inglese lentamente. Senza l’Irish Republican Army a rivendicare attraverso la lotta armata l’unificazione Irlandese, non avrebbe senso conservare una così fino a ieri massiccia e costosa presenza militare nelle Sei Contee.

Resteranno quindi sul territorio almeno 5000 soldati con compiti esclusivamente militari e non di sicurezza. Saranno le truppe che andranno a sostituire i commilitoni già presenti in Afghanistan e in Iraq. Su questa linea, le basi operative sono state ridotte a dieci. Le reazioni sono diverse tra la gente. Tra la popolazione civile ci sono almeno un migliaio di persone che non sono affatto contente della chiusura di “Operazione Banner”. Sono gli oltre 1100 uomini e donne del personale civile che operava all’interno delle caserme dell’esercito, che si ritrovano senza lavoro. È il rovescio della medaglia per l’abbandono del territorio.

Soldato inglese
Soldato inglese
Secondo il generale Nick Parker, comandante delle forze armate britanniche in Irlanda del Nord, l’esercito ha “lavorato sodo per sconfiggere l’Ira e i nostri soldati adesso dovranno affrontare le stesse sfide dei colleghi in Afghanistan e in Iraq”, ma ci tiene a precisare che “in ogni caso questa non è stata una partita di rugby, che finisce con una stretta di mano. C’è stato un grosso sacrificio da parte nostra”.

Si conclude così un’epoca, dove si potevano vedere i soldati pattugliare le strade delle cittadine nordirlandesi, esposti spesso al fuoco incrociato dei paramilitari, sia lealisti che repubblicani che individuavano negli uomini in tuta mimetica un nemico comune da sconfiggere. E anni di collusione; anni di stretta collaborazione tra alcuni settori dell’esercito come il FRU (Force Research Unit) e le formazioni lealiste.

Da oggi, dunque, per le strade sarà possibile vedere solamente le camionette bianche della Psni intervenire, mentre nelle situazioni più difficili saranno esposte solamente le squadre anti-sommossa della polizia con le loro protezioni nere.

Il verde militare, da oggi, non abita più qui.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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