Da Belfast, Andrea Varacalli – Avvenire
I metodi sono simili a quelli baschi e dei gruppi italiani degli anni di piombo. Dopo gli assalti spostarsi con rapidità è quasi un obbligo
“On the move”, non ci si ferma.
Logistica e operatività: questa la principale caratteristica militare di Oglaigh na hEireann (l’Ira).
Soprattutto per gli invisibili del terrorismo irlandese, spostarsi da una parte all’altra non è una necessità in certi momenti, ma un obbligo. La costellazione odierna dell’Irish Republican Army non ha una struttura diversa dalle generazioni repubblicane che l’hanno preceduta in un secolo di lotta armata. Stesse vertebre, stessi metodi di conservazione politici e militari. Più in generale, si può osservare che il terrorismo europeo non ha appoggi governativi diretti come quello islamico. L’ultranazionalismo del vecchio continente si rigenera, viceversa, in base al detto: “Se abbiamo un nemico in comune, allora siamo amici”.
Almeno, per questo tratto di strada (o di mare) da fare insieme, adesso. Mare che è stato vicino alla Libia, a cargo carichi di plastico, e a tonnellate di munizioni e armi.
All’oceano, soprattutto, vicino alle comunità irlandesi d’America e al Noraid che ha farcito con tanto denaro la causa nazionale per l’unificazione. Questo è accaduto ieri, nella recente storia nordirlandese, ma oggi qui, nel nord, tutto è più elaborato di quanto appaia in superficie. È stato trasformato in virtù un ventennio di « Dirty War » ( « guerra sporca » ), un pezzo di storia violenta fatta di spie e infiltrazioni. Due nazioni, un’isola. L’Irlanda. Quindici anni di risoluzione del conflitto e la lotta armata e al bivio.
Tempistica perfetta direbbero, tragicamente, gli storici e gli analisti dei conflitti senza fine.