Germania in autunno

Ombre Rosse

Massimiliano Vitelli, LET historical Team correspondent

La Raf

Andreas Baader, la R.A.F. e le solite “versioni ufficiali”

Lo trovarono. Senza vita. O almeno così dissero. I media, sazi di una comoda verità ufficiale l’accettarono senza porsi troppe domande: suicidio. Si spegnevano così, il 18 ottobre 1977, le luci nella sua cella e sulla sua vita. Andreas Baader, terrorista e leader della R.A.F. (Rote Armee Fraktion) era morto. La storia della sua vita, da ladro d’auto a teorico (e pratico) rivoluzionario dell’estrema sinistra, è stata un susseguirsi di eccessi. Una vita che nei suoi brevi ma intensi 34 anni, ha fatto sì che il nome di Andreas Baader rimanga ancora oggi tra quelli di maggior riferimento nell’ambito dell’argomento “terrorismo”.

Ulrike Meinhof1968. Baader e la sua fidanzata (nonché compagna di giochi “terroristici”) Gudrun Ensslin, finiscono per la prima volta sulle prime pagine di tutti i giornali per aver incendiato due grandi magazzini nel cuore di Francoforte. Il loro è un atto per protestare contro l’indifferenza della gente di fronte al genocidio che si sta verificando in Vietnam. Fuggiti e rifugiatisi a Parigi (meta usuale di molti ricercati di sinistra, non solo tedeschi, dell’epoca) dichiarano di aver imparato che “è inutile parlare senza agire”. Il successivo ritorno sul suolo tedesco coincide con la loro prima cattura. Dopo due anni però, grazie anche all’aiuto della giornalista Ulrike Meinhof, la coppia riesce ad evadere.

La Meinhof, editorialista del quotidiano Konkret, si avvicina proprio per la sua professione a Baader ed alla Ensslin, come inviata al processo. Già famosa per i suoi pezzi sempre polemici (bersaglio preferito il leader bavarese della C.S.U. Franz Joseph Strauss) riesce grazie ai suoi articoli ficcanti a far diventare ogni udienza un caso nazionale. La costante frequentazione con i due imputati la spinge presto ad abbandonare la sua attività legale di giornalista per passare all’azione violenta e ad entrare nel regime di clandestinità. Il suo diventa presto un ruolo talmente di rilievo che la R.A.F. viene spesso ricordata anche con il nome di Banda Baader-Meinhof.

Rote Armee FraktionAll’inizio degli anni settanta Andreas Baader ed il suo gruppo si dividono tra rapine in banca, furti d’auto (con una preferenza per le BMW…) pianificazioni di attentati terroristici e… bella vita.
Week-end in hotels a 5 stelle, droghe, auto sportive, tutto sempre e rigorosamente sotto falso nome e nella clandestinità. Le parole d’ordine sono sfarzo e lusso. I loro comportamenti sono talmente esagerati che durante un campus di addestramento in Giordania vengono espulsi e rispediti a casa.
Il 1 giugno 1972 Andreas e due suoi compagni, Jan-Carl Raspe e Holger Meins sono arrestati al termine di una estenuante sparatoria per le strade di Francoforte, ancora una volta teatro delle azioni della Rote Armee Fraktion. Successivamente vengono prese anche la Ensslin e la Meinhof. Si apre così il più grande processo della storia della Germania e, di riflesso, emette in questi giorni i primi vagiti la pianificazione del sequestro Schleyer.
Infatti, i compagni della R.A.F., per costringere le autorità di Monaco a rilasciare i loro leaders, si giocano la carta “rapimento”. Il 5 settembre 1977, con un’imboscata lungo la Vincenz-Statz Strasse, un commando costringe l’autista dell’allora presidente degli industriali tedeschi (ed ex ufficiale delle SS) Hanns Martin Schleyer a bloccare la propria auto. L’azione è fulminea: mentre un uomo preleva Schleyer gli altri quattro che compongono la spedizione uccidono, sparandogli, l’autista ed i tre agenti della scorta.

Rote Armee FraktionI giorni passano tra mille trattative ma la vicenda non si sblocca. La R.A.F. allora decide per un’azione spettacolare. Grazie all’aiuto di un gruppo indipendentista palestinese viene dirottato un Boing 737 della compagnia aerea tedesca Lufthansa. Prima all’aeroporto di Roma Leonardo da Vinci e poi, dopo vari scali, a Mogadiscio. A porre termine al dirottamento è un commando delle teste di cuoio tedesche che, con un’azione da manuale, fa irruzione nell’aeromobile uccidendo tre dei quattro dirottatori (l’altro viene arrestato) e salvando tutti i passeggeri. Visto il fallimento dell’azione i carcerieri di Schleyer decidono di ucciderlo. A questo punto due eventi si accavallano in poche ore mettendo in luce alcune ombre. Il corpo di Schleyer viene ritrovato nel bagagliaio di una Audi verde in Rue Charles Peguy a Mulhouse il 19 ottobre 1977. Pressoché contemporaneamente un’agenzia di stampa tedesca annuncia che i terroristi Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe sono stati trovati “suicidi” nella loro celle. (Intanto, il 9 maggio dell’anno precedente, anche la Meinhof era stata trovata “suicida” dietro le sbarre).
Quattro suicidi in poco meno di un anno in due carceri di massima sicurezza. Le versioni ufficiali parlano di pistole (nei casi di Baader e di Raspe) e di corde usate per impiccarsi (Ensllin e Meinhof).
Durante le indagini la commissione internazionale d’inchiesta però, composta da avvocati, medici, giornalisti ed intellettuali di mezza Europa, giunse alla conclusione che la Meinhof non avrebbe mai potuto impiccarsi da sola e che fu appesa già cadavere. Da allora la verità su come terminarono la loro vita i leaders della R.A.F. continua ad essere avvolta nel mistero.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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