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Fare thee well, Lansdowne Road!

Damiano Benzoni

130 anni tra arruolamenti, ammutinamenti e proposte di matrimonio: chiude il tempio del rugby irlandese

Ultimo programma al Lansdowne RoadIl 31 dicembre Dublino ha detto addio a un simbolo della città: il Lansdowne Road, lo stadio che ospitava le nazionali irlandesi di calcio e rugby. Uno stadio vecchio oltre 130 anni, costruito interamente in legno, quasi a dargli le sembianze di uno scrigno zeppo di aneddoti e impregnato di storia. Lo scrigno verrà raso al suolo per lasciare spazio nel 2009 a un più moderno all-seater, sul quale già si stanno abbattendo gli strali degli amanti della tradizione sportiva e quelli delle commissioni edilizie, alcune delle quali sostengono che il nuovo stadio deturperebbe l’ambiente del quartiere di Ballsbridge, Dublin 4. La ristrutturazione si era fatta urgente quando nel novembre 2005 un incendio aveva reso inagibile il North Terrace la notte prima di un importante incontro tra la nazionale di rugby e i temibili All Blacks, la nazionale neozelandese. La squadra irlandese ha dato il proprio addio all’impianto con una serie di vittorie illustri contro Sudafrica, Australia e Pacific Islanders nei test-match di novembre.

Lansdowne Road ha ospitato diversi eventi di rilievo, oltre alle partite delle rappresentative nazionali di calcio e rugby e alle finali della FAI Cup, la Coppa Irlanda di calcio. Sono state disputate al Lansdowne Road le finali di Heineken Cup (la maggior competizione rugbistica europea per club) del 1999 e del 2003, e nello stadio hanno tenuto concerti artisti del calibro di U2, Oasis, Eagles e Red Hot Chili Peppers. Lars-Christer Olsson, presidente della UEFA, ha suggerito che nel 2010 il nuovo Lansdowne Road potrebbe ospitare la finale della Coppa UEFA e, nel 2011, la finale dei Campionati Europei Under 21.

Lansdowne RoadBóthar Lansdún (questo il nome dell’impianto in gaelico) vanta il titolo di stadio di rugby più vecchio del mondo e apre nel 1872, quando Henry William Dunlop, proprietario di 28 ettari tra il fiume Dodder e la stazione ferroviaria di Lansdowne, fonda il Lansdowne Rugby Club. Dunlop lascia il terreno alla squadra come campo da gioco e concede ospitalità anche a una squadra di calcio, i Dublin Wanderers FC. Per rifarsi delle spese nel 1878 Dunlop affitta il campo per la prima Irlanda-Inghilterra della storia al prezzo, allora salatissimo, di 5 sterline. Ha così inizio la leggenda, continuata quando nel 1904 l’IRFU acquista l’impianto, iniziando nel 1908 a costruire il vero e proprio stadio, che oggi conta 49250 posti.

Come per ogni stadio, non sono tanto le assi di legno o i pali o le zolle del campo a rendere Lansdowne Road leggendario. Certo, la presenza dei binari della DART (la linea urbana di Dublino) che passano sotto il West Upper Stand aiuta a dare un sapore tutto particolare al tempio del rugby irlandese. Però sono le lacrime, le gocce di birra e il sudore di spettatori e giocatori a costruire la leggenda. E nel caso di Lansdowne Road sono i canti dei supporters, sempre pronti a intonare la ballata tradizionale Fields of Athenry quando la propria squadra è in difficoltà, come anche ad applaudire una bella giocata degli avversari. Per creare una leggenda ci vogliono anche dei riti, come quel protocollo ufficiale pre-partita che prevede che il Presidente della Repubblica passi su un tappeto rosso a stringere le mani dei giocatori. Nel 2003 gli inglesi impedirono alla Presidente Mary McAleese di passare sul tappeto, costringendola a camminare sull’erba. Lo stadio si alzò e intonò Fields of Athenry con orgoglio, riuscendo perfino ad intimidire gli inglesi. Per creare quel sapore epico, poi, ci sono anche quei due inni cantati l’uno a ridosso dell’altro: prima A Soldier’s Song (Amhrán na bhFiann), inno della nazione ospitante, la Repubblica Irlandese; poi Ireland’s Call, inno scritto appositamente per la nazionale di rugby, per rappresentare sia i giocatori della Repubblica, sia quelli provenienti dall’Irlanda del Nord.

La DartUno scrigno di aneddoti, di leggende e di storia, dicevamo. Come quando nell’agosto 1914, all’indomani della discesa in campo del Regno Unito nella Prima Guerra Mondiale, centinaia di rugbisti si ritrovarono all’interno dello stadio e decisero di arruolarsi nei Royal Dublin Fusiliers come Pals Battalion. I Pals Battalion erano uno stratagemma inventato da sir Henry Rawlinson per incoraggiare gli arruolamenti: si trattava di speciali battaglioni formati localmente, di modo che i soldati non fossero costretti a combattere a fianco di perfetti sconosciuti. O come quando nel 1927 fu costruito l’East Stand: per via di alcuni ritardi nei lavori, la copertura dello Stand non fu eretta in tempo per il match contro la Scozia, ricordato per la pioggia torrenziale in cui fu disputato.

Nel 1929, quando lo stadio non aveva ancora raggiunto la capienza odierna, Lansdowne Road accolse 40mila spettatori per una partita contro la Scozia. I quarantamila, troppi per la capienza dell’impianto, si assieparono attorno al campo, impedendo al trequarti irlandese Jack Arigho, andato in meta, di schiacciare l’ovale in mezzo ai pali: l’area di meta era invasa da spettatori in festa; nello stesso match l’arbitro Cumberledge annullò la marcatura del trequarti ala Rowland Byers, placcato in area di meta dall’estremo scozzese Tom Aitchison, per via della quantità di gente che aveva invaso il campo. Le leggende sul Lansdowne Road riguardano anche il vento impetuoso che spazza il campo, come l’aneddoto raccontato dall’apertura gallese Mike Watkins (“All’inizio della partita non capivo che stesse succedendo: le bandiere sventolavano in tutte le direzioni!”) o quello che ricorda il pilone azzurro Martin Castrogiovanni (“Le bandierine stavano piegate a terra, sembravano lottare per restare aggrappate al suolo. Dei miei amici venuti dall’Argentina non riuscirono neanche a tirare fuori uno striscione preparato per festeggiarmi, il vento gliel’avrebbe strappato dalle mani!”).

Lansdowne Road non fu la casa fissa della nazionale al Cinque Nazioni fino al 1954: gli incontri si disputavano alternativamente a Dublino e Belfast. Sabato 27 febbraio 1954: a poche ore dal match previsto all’impianto di Ravenhill, nella capitale nordirlandese, sei giocatori nordirlandesi parlano al capitano James McCarthy. “Siamo onorati di essere stati chiamati a far parte della Nazionale – dicono – ma non ce la sentiamo di entrare in campo sul suolo irlandese e sentir suonare God Save The Queen!”. In quelle poche ore si consumano disperati negoziati, fino ad arrivare al compromesso: da quella Irlanda-Scozia in poi i greens non giocano mai più in Irlanda del Nord (l’assenza della nazionale dalle six counties verrà interrotta, dopo 53 anni, questo agosto, in occasione di un test-match contro l’Italia). Lansdowne Road diventa così a tutti gli effetti la casa del rugby irlandese, tanto che l’IRFU trasferisce nello stadio i propri uffici.

BigliettoTante tradizioni che crollano, insomma, con questo impianto storico, forse il più romantico tra gli stadi di rugby. Tradizioni che non riguardano la sola palla ovale: crolla anche, infatti, la Regola 42. La Regola 42 è un articolo dello statuto della Gaelic Athletic Association, anche conosciuta con il nome irlandese di Cumann Lúthchleas Gael. La GAA è la federazione degli sport gaelici (football gaelico e hurling) e in quell’articolo vietava l’ospitalità nei suoi impianti agli sport stranieri, in particolare modo quelli inglesi, come il calcio e il rugby. Una regola che affondava le sue radici nella Bloody Sunday del 21 novembre 1920, in piena guerra di indipendenza irlandese, quando a un incontro di football gaelico tra le rappresentative di Dublino e Tipperary i Black and Tans (forze speciali dell’esercito inglese) fecero irruzione al Croke Park, lo stadio GAA di Dublino, nonché il più grande impianto sportivo di tutta Irlanda. I Black And Tans aprirono il fuoco sulla folla, macchiandosi del sangue di un giocatore e di 14 spettatori, compresi tre ragazzi di 10, 11 e 14 anni. La Regola 42 però non esiste più, seppellita proprio dalle macerie del Lansdowne Road: l’assemblea della GAA ha votato lo scorso anno per l’abolizione dell’articolo, concedendo ospitalità provvisoria alle nazionali di calcio e rugby proprio al Croke Park. Un’altra svolta epocale per lo sport irlandese e tutto quello che rappresenta nella cultura e nella società della nazione.

L’estremo saluto allo stadio Dublino l’ha dato il pomeriggio del 31 dicembre, in occasione della partita di Celtic League tra le provincie irlandesi del Leinster e dell’Ulster. I padroni di casa hanno primeggiato 20-12, grazie alle mete dell’ala Denis Hickie, del seconda linea Owen Finegan e del numero 8 Jamie Heaslip, l’ultimo a schiacciare un ovale in meta su quel manto erboso. La partita, ribattezzata dai media “The Last Stand”, ha avuto un degno contorno, grazie ad un pubblico record di 48mila spettatori che la pioggia non è riuscita a scoraggiare. La folla ha riservato al Lansdowne Road una grande festa d’addio, condita perfino nell’intervallo tra i due tempi da una proposta di matrimonio. L’ultimo dei mille aneddoti di uno stadio che non sembrava ancora stanco di raccontare storie.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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