Notturno Libri

Le città ponte fra Oriente e Occidente

Giorgio Pressburger

Dal 10 al 14 maggio a Torino ci si confronta sulle frontiere invisibili che separano e uniscono le metropoli del mondo. Da Trieste a Istanbul, una riflessione di Giorgio Pressburger

Torino, Fiera del libroI confini dell’Europa lungo tutto il millennio passato sono stati luoghi di separazione e nello stesso tempo di intensa cominicazione. Per molto tempo il concetto di confine è stato sufficientemente vago da consentire ogni sorta di mescolanze genetiche e culturali, sul nostro continente. Quando il razzismo ha messo radici in diversi Paesi europei quei processi di mescolanza erano già così estesi e incontrollabili, che parlare di razza e anche di “pulizia etnica” poteva essere solo frutto di follia. La separazione, la rigorosa distinzione tra vari gruppi umani ha prodotto alla fine due orribili guerre mondiali e molte altre guerre locali su vari punti del Pianeta , non meno sanguinose e terribili. Alcune di queste sono ancora in corso ed è difficile prevederne la fine.

Ma qui vorrei parlare dei confini piuttosto come di luoghi di transizione e di scambio, di vera, intensa relazione tra popoli, religioni, culture. Anche se tutto questo è stato purtroppo accompagnato da inauditi conflitti e spargimenti di sangue, comunque in ultimo ha prevalso l’opposto. L’Unione Europea ne è un esempio eloquente. Chi vive in posti di transizione, per lo più ha un destino particolare, assente altrove. Da questa “condizione umana” sono nati capolavori in letteratura ma anche in musica, in pittura, in filosofia, nelle scienze. Occorre fare nomi? Averroè, Sant’Agostino, Kafka, Italo Svevo, Mendel, l’architetto turco Sinan e tanti tanti altri. Penso anche che buona parte della cultura europea poggi su personaggi simili, oltre che sulle grandi creazioni egemoniche. Di tutto questo naturalmente si è parlato e scritto tantissimo: ma oggi il tema è di nuova attualità. La grande migrazione, come l’ha chiamata Enzensberger, l’arrivo di immigrati dall’Africa, dall’Asia, dall’America latina, la questione dell’ammissione di nuovi membri nell’Europa odierna, come per esempio quella della Turchia, riportano questi temi nella coscienza di tutti.

Fiera del Libro, TorinoCi sono luoghi particolari, di scambio così fitto , da rendere tutte queste elucubrazioni improvvisamente concrete. La città di Trieste, per esempio, è davvero un emblema della condizione di vita e di cultura di confine. In Italia è diventata addirittura un mito, per questo: ad essa tutti guardano con ammirazione e rispetto; a volte con una vago senso di estraneità, come se ci si trovasse di fronte ad alieni venuti da altri pianeti. Sì, vivere una vita e una cultura di confine dota le persone di qualità certe volte incomprensibili agli altri, le rende eccentriche, provviste di un sesto e settimo e ottavo senso e di una apertura mentale sconosciuta altrove. Figure come quella di Umberto Saba possono anche sembrare sin troppo originali, ed è questo lo scotto che si paga per la posizione di privilegio di vivere ai confini. A volte vivere ai confini può sembrare a qualcuno vivere ai margini. E da quell’idea nascono anche grandi e ottuse inimicizie, probabilmente coltivate ad arte da gruppi d’interesse politico e economico.
Se a Trieste tutto questo miscuglio di sentimenti opposti ha generato una cultura ancora oggi viva, nonostante i populismi e le superficialità importati anche lì, in altri luoghi di posizione simile, queste contraddizioni sono altrettanto presenti e forse in misura ancora maggiore. L’esempio del caso di Orham Pamuk, lo scrittore turco, premio Nobel per la letteratura, lo dimostra chiaramente. Pamuk è l’impareggiabile cantore di Istanbul, la metropoli del Bosforo, dove si incontrano tre mari e dove, da tempo immemorabile si combattono, si integrano, si dividono e si riuniscono varie civiltà. A causa dei suoi libri e delle sue prese di posizione politiche, Pamuk ultimamente ha dovuto girare per la sua città protetto da guardie armate, come anni fa era capitato a Salman Rushdie a Londra.
Fiera di TorinoIstanbul, di quindici milioni di abitanti, è davvero una delle città più affascinanti d’Europa. In tre millenni vi si sono svolte battaglie sanguinose tra imperi, tra religioni rappresentate da potenze militari e d a Chiese opulente, sono nate rivalità tra genovesi e veneziani, tra cristianesimo e islam, tra modernisti e fondamentalisti. Se a Trieste – per la precisione nel castello di Duino – ha dimorato a lungo il poeta praghese di lingua tedesca Rainer Maria Rilke, a Istanbul, nel secolo scorso, hanno abitato Thèophil Gautier e Gerard de Nerval, e più tardi Pierre Loti, al quale è intitolato addirittura un intero quartiere. Per Trieste, confinante con la grande Mitteleuropa e con i Paesi balcanici, l’Adriatico ha sempre rappresentato un possibile contatto anche con punti lontani della terra. Quanti commercianti di quella città, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, si sono occupati del caffé brasiliano, quanti commercianti di Istanbul hanno importato merci dalla Cina, dall’India, dalla Russia! Ma lo scambio maggiore forse é avvenuto nell’ambito delle idee, delle culture. Il grande architetto Sinan, autore del progetto di 300 edifici di Istanbul, albanese d’origine, visitatore di città del Mediterrano come gianizzero, nelle sue opere mostra una chiara, fruttuosa simbiosi con l’architettura rinascimentale italiana.

Anche l’essere al confine tra varie parlate ha dato i natali a parecchi scrittori emigrati dalla loro lingua madre in quella di un altro popolo. La letteratura del Novecento è colma di queste figure: Joseph Conrad, Sàndor Màrai, Vladimir Nabokov, più recentemente Ondatjee e Ishiguro sono soltanto pochi esempi, rispetto alla vastità di quella letteratura. Essere di confine dunque è, in un certo senso, un privilegio, una rarità, come quella di nascere gemelli. Ma può essere anche fonte di pericoli incombenti, minacce, esclusioni. Per ora la musica della Storia e del destino umano è questa.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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