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Merini, la mia Palestina

Roberto Beretta

Alda Merini, poetessa

A 76 anni dopo una vita travagliata e feconda, la poetessa dei Navigli racconta la sua “Terra Santa”.

“Non sono mai stata nei luoghi di Gesù, ma li immagino pieni di pietre. Sulle pietre si scrivono le poesie più belle… Sento la presenza di Dio vicino a me, nelle mie giornate”.

Quanto c’è tra i Navigli e Gerusalemme? Alda Merini non sa. Per lei non sembra esistere soluzione di continuità tra il lento specchio d’acqua che scorre davanti a casa sua, trattenuto da antichi mattoni nella fretta milanese, e le prospettive della città santa che spalanca dorata le sue cupole alle tre grandi religioni. Anche il Naviglio è una via dolorosa, a suo modo; o almeno ha segnato la sua personale via crucis di poetessa estraniata dalla malattia e ossessionata dal confronto con Cristo.
Fu nel 1984, appena uscita da un ventennio di silenzio artistico e da vari anni di internamento in manicomio, che la Merini pubblicò La Terra Santa, per molti il suo capolavoro:

Ho conosciuto Gerico, / ho avuto anch’io la mia Palestina, / le mura del manicomio / erano le mura di Gerico / e una pozza di acqua infettata / ci ha battezzati tutti. / Lì dentro eravamo ebrei / e i Farisei erano in alto / e c’era anche il Messia / confuso dentro la folla: / un pazzo che urlava al Cielo / tutto il suo amore in Dio…

E tuttavia non è mai stata in Terra Santa, Alda Merini, nei 76 anni della sua feconda, travagliata esistenza: “Si tratta di una metafora biblica – subito la voce un po’ stanca ma viva rincorre l’interlocutore -, che mi venne spontanea nella società degli emarginati com’è quella del manicomio, dei colpevoli, dei mai visti, dei non figli di Dio; è l’apoteosi della Grazia. La Terra Santa io l’ho scritta in 8 giorni, mentre mio marito stava morendo di cancro”.

Ma lei ci andrebbe sul serio, a Gerusalemme?
Sì. Ma io godo purtroppo di una forte immaginazione – una fantasia così viva che mi ricrea proprio il luogo dove stare – e ci sono già stata tante volte. È un vizio di famiglia: mio papà era così e mi citava sempre Verne per fare il paragone; non per nulla il nonno l’aveva chiamato Nemo…

Dunque su quale base lei ha descritto i Luoghi Santi?
Sono sempre stata una donna molto mistica, sa? Ho avuto un a vicenda come quella di santa Teresina del Bambin Gesù. Già molto giovane volevo entrare in convento e farmi monaca, e i miei quasi mi bastonavano perché ero sempre in chiesa. Mio papà era anticlericale, anche anarchico, però era un grande educatore e alla fine mi ha sempre lasciato libera. Ho fatto persino un anno di noviziato a Vercelli, dove eravamo sfollati durante la guerra. Poi mi sono sposata, quasi controvoglia; ma ho amato molto mio marito e la mia famiglia.

E chi l’ha educata al cristianesimo?
Da sola. Il senso dell’evangelico l’ho sempre avuto fin da bambina. Ho letto molte vite dei santi. Ho un cugino prete guanelliano, si chiama don Cipriano Vianini, è un grande educatore che aveva ricevuto una grazia a Lourdes; mi ha scritto molte lettere, le ho ritrovate da poco in solaio: prevedeva che mi aspettassero 10 anni di calvario, io ci ridevo sopra e invece sono andata in manicomio… Ora lui vive in Valtellina. Mi ha persino detto che il prete che non va a trovare l’autrice del Magnificat non è un buon prete…

Addirittura.
Beh, Papa Wojtyla aveva il mio Magnificat sul comodino. Perché io ho fatto la prima recensione alla sua opera La bottega dell’orefice, che mi è piaciuta molto; erano i giorni in cui mi fu portata via una figlia dai servizi sociali e lui per ringraziarmi mi ha fatto avere un bellissimo crocifisso d’oro a mezzo del parroco.

Torniamo a Gerusalemme: lei come immagina i Luoghi Santi?
Belli, ricchi di pietre. Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre. E i luoghi santi sono luoghi di poesia, luoghi di preghiera e di ascolto. Ma sono anche quelli dove si posa l’orecchio per terra e si sentono arrivare i cavalli, il nemico o forse i liberatori.

È un’altra citazione della “Terra Santa”: Le più belle poesie / si scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piagati / e le menti aguzzate dal mistero. / Le più belle poesie si scrivono / davanti a un altare vuoto, / accerch iati da agenti / della divina follia.
Sì, perché io in manicomio sono riuscita a crearmi un luogo di culto, un luogo di solitudine felice dove abitavo circondata da altri infelici. Lì c’era l’amore; ed è questo che manca sulla terra, non crede?

In uno dei suoi libri più recenti (e amati dal suo pubblico), il “Poema della croce”, si incontrano solo Nazareth e Gerusalemme, ovvero l’infanzia di Gesù e la sua Passione. Come mai?
Posso rispondere con una battuta? Perché avevamo poche pagine a disposizione… I libri del mio editore sono ridotti e non si poteva dir tutto. Ma poi non è vero: a me interessava la figura in toto, il luogo conta meno. È importante l’uomo, il nome Gesù.

In quel testo lei descrive alternativamente il Calvario come un “diamante” oppure come il “teatro magnifico della derisione”. Qual è la verità?
Il Golgota è il luogo del Cranio, il centro del mondo. Ma è anche il carnevale della Croce. Perché, mentre portavano a morire atrocemente i poveri condannati, i carnefici si divertivano. Ecco quello che non distingue l’uomo dalla bestia: la tortura, l’essere carnefice dell’altro. E gli uomini sanno farlo con sapienza. Cristo viene issato, viene preso in giro. Però tutto questo l’aveva già previsto. Anche la Madonna. Ma l’amore accetta tutto.

Proprio tutto?
Allo sposo non si nega niente, qualsiasi gioco d’amore è valido. Per questo nel mio ultimo disco (recitato con il compositore e cantante Giovanni Nuti) uso alcune espressioni piuttosto forti, anche dal punto di vista erotico. Chissà cosa dirà certo mio pubblico…

Beh, del resto lei è sempre stata considerata una specie di “mistica della carne”… Non ha scritto forse che “dagli inguini può germogliare Dio”?
Non mi parli della carne, perché sono sempre stata tentata! L’amico padre Davide Turoldo mi chiamava “piccola peccatrice” e per scherzo mi diceva “Vai via!”… Sono una donna passionale. E credo che, quando si sta godendo della pr opria passione, si possano rompere anche gli argini. Succede a tutti, no? Però c’è pure la tristezza della passione, che non è amore se non è dosata. Sì, tutto si può fare; ma abbiamo la ragione per governarci.

Passione, ovvero gloria e sofferenza. Come la Terra Santa, che lei ha descritto in chiaroscuro: “Deserto della fede, strapiombo della luce, terra tragica che è il dolore dell’uomo”.
Credo che la vita sia talmente un mistero che si impazzisce dalla gioia di trovarselo davanti. Nulla è piatto. Lo stesso peccato è la nostra genialità: se uno non sa farlo, non è né carne né pesce… Però le faccio una confessione, può anche scriverla se vuole: a trent’anni, quand’ero già sposata, mi sono innamorata (ma proprio furibonda!) di una persona; ero già andata in un posto per farla finita e mi è passata davanti tutta la vita, con tutti i miei errori e le incompiutezze; insomma: ho visto l’inferno, sono tornata indietro e mi sono consegnata al manicomio. Ho provato la passione e ho voluto pagare, ma è stata dura. Non lo faccio più, non lo voglio più fare.
Lo dice ancora “La Terra Santa”: Il manicomio è una grande / cassa di risonanza / e il delirio diventa eco / l’anonimità misura, / il manicomio è il monte Sinai, / maledetto, su cui tu ricevi / le tavole di una legge / agli uomini sconosciuta.

Ecco un’ennesima immagine biblica: il Sinai. Ma lei ama la Bibbia? La legge?
Mai. Ormai non leggo più nulla, uso un metodo che nessuno crederebbe: metto il volume sotto il cuscino e ci dormo sopra! E poi non mi piaceva la Bibbia, solo i Vangeli: i miracoli, sono più tranquilli e più semplici. La Bibbia è piena di nomi e mi stancavo.

Anche il Cantico dei cantici?
No, quello è libro il più bello che conosca: è molto carnale, mi piace molto che quella sposa venga adorata pure nella carne, esaltata nella sua bellezza anche artistica. Lo sposo la immagina così, la riveste o la denuda a seconda del suo pensiero. Sulla linea del Canti co penso di aver costruito molta della mia poesia.

Che rapporto ha con la Chiesa?
I preti mi piacciono ma tutto sommato io vivo in un’altra dimensione, in una mia personale solitudine di poeta, dove credo in un Dio buono, affettuoso, un Dio-mamma. Non so se mi interessa molto il Vaticano. Sono francescana, preferisco la povertà alla potenza.

Dunque sceglie Roma o Gerusalemme?
Gerusalemme. Perché io voglio essere un po’ dimenticata da Dio, lasciata vivere così nella mia semplicità. Non amo le pompe, gli applausi, mi piace che Dio mi accolga nella sua misericordia senza neanche tener conto del nome che ho. Non vado in chiesa a mormorare. Ma credo che Dio sia qui con me. Ne avverto la presenza, annuso il suo odore, sento dentro di me la pace divina. Io sento la sua carità nella giornata, e questo mi basta.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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