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Quèbec: giorni di festa in chiaroscuro

Massimiliano Vitelli

Sovranità a colazione. La questione Quebec. Le Bloc Québécois affirme l’existence de la nation québécoise, exige sa reconnaissance et défend les intérêts de ses citoyens et citoyennes ainsi que leur droit de choisir librement leur avenir.

Immagine notturnaRiapre la fabbrica dei sogni. Ma a mezzo regime. Al termine di un anno speciale che ha visto cerimonie e festeggiamenti su tutto il territorio per i suoi 400 anni, il Québec trova (apparentemente) sotto l’albero di Natale, il regalo più desiderato. Con 266 voti a favore e 16 contrari, la Camera dei comuni canadese, dopo due giorni di consultazioni, ha votato una mozione che riconosce al Québec lo status di “nazione all’interno di un Canada unito”. Con un equilibrismo dialettico eccezionale il premier conservatore Stephen Harper ha infatti presentato a sorpresa questa mozione che dice tutto ed il contrario di tutto. Ha battuto sul tempo il leader del “Bloc Quèbecois” Gilles Duceppe, che aveva preparato una mozione identica tranne per le parole (fondamentali) “all’interno di un Canada unito”. Il primo ministro del governo della foglia d’acero ha quindi praticamente congelato una situazione che stava rischiando di farsi sfuggire dalle mani come sabbia.
La provincia del Québec, la più estesa del Canada, è da sempre infatti in lotta per la sua indipendenza. Colonizzata dai francesi nel XVII secolo, passò successivamente sotto il controllo della Gran Bretagna che con il Québec Act del 1774 ne definì i confini e le norme di governo. Nel 1867, aderendo alla Confederazione Canadese, ne entrò a far parte come “provincia autonoma a maggioranza francofona”. Le spinte separatiste ed i sogni d’indipendenza hanno però sempre trovato posto nei pensieri della sua multietnica popolazione.
Bandiera del QuebecNegli anni ‘70 fu messa in atto in tutto il Québec la cosiddetta “Revolution tranquille”, una serie di riforme sociali, economiche ed educative atte a rivendicare le proprie origini francesi. La successiva promulgazione della “Charte de la langue française” (1977) ha di fatto sancito l’utilizzo ufficiale della lingua francese a scapito del monopolio di quella inglese, mettendo sotto la luce dei riflettori quelle diversità di origini che ora sono alla base delle rivendicazioni degli indipendentisti. Nel 1995 un referendum popolare per l’indipendenza della provincia “dei fiordalisi” dal Canada ottenne un ottimo ma non sufficiente 49,6% dei voti tarpando momentaneamente le ali alle speranze dei separatisti. Ora, dopo un periodo florido di riconoscimenti d’indipendenza nel mondo (come per la Catalunya in Spagna e per il Montenegro nei paesi balcanici) il Québec ottiene, seppur ancora solamente a livello culturale e non legislativo, il riconoscimento di “nazione”. Il Canada che ha sempre ostentato il vessillo dell’unità nazionale con fierezza, difficilmente accetterà questa separazione, che se attuata totalmente, potrebbe innescare una serie a catena di altre richieste similari. La sua popolazione, infatti, composta prevalentemente di immigrati uniti in gruppi, forma a tutti gli effetti un puzzle geo-politico dove ogni tassello si può considerare una micro-nazione che, alla luce di una eventuale “indipendenza del Québec” potrebbe essere stimolata a seguirne la scia.
Indipendenza del QuebecDal possibile passo storico ad un pericoloso passo falso, quindi, il passo è breve. La strada verso l’autodeterminazione è ancora in salita e piena di buche. In più la storia ci insegna, tristemente, come le “democrazie occidentali” mettano in campo, una volta alla strette, ogni metodo, spesso ai limiti della legalità, per mantenere la propria stabilità politica e sociale. Nello stemma ufficiale del Québec, sotto i tre “fleur de lis”, si legge “JE ME SOUVIENS” (Io ricordo). La memoria storica di una nazione è imprescindibile dal suo futuro. Ricordare il passato, l’eredità politica e culturale, sarà per il Québec l’unico modo per affrontare il cammino verso l’indipendenza. Duceppe ed i suoi sostenitori, che ora stanno vivendo un momento di moderata euforia, faranno bene a tenerne conto. Forse, proprio nel logo ufficiale, come in uno strano rebus enigmistico stile libro-thriller, si celava, ma ben visibile, uno dei principi fondamentali da seguire.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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