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Edna Longley: la Poesia e il Processo di Pace

Tratto da “Books and Writings”, ABC Radio National
A cura di Ramona Koval, domenica 24/07/2005

Edna Longley, The Living StreamEdna Longley, Professore Emerito presso la Queen’s University Belfast, è una delle più influenti critiche della poesia Irlandese e Inglese moderne, nonchè una delle più autorevoli voci nel panorama culturale Irlandese. Oltre ad aver riscosso fama e riconoscimenti internazionali per le sue numerose pubblicazioni, Edna Longley ha rivestito un ruolo determinante nel dibattito lettario e culturale in Nord Irlanda e soprattutto presso la Queen’s University, presso cui è stata docente e direttrice della della English Society, il cui sviluppo è stato cruciale nella creazine dello Seamus Heaney Poetry Centre. Sposata al poeta Michael Longley, nel 2003 ha ricevuto dal Trinity College di Dublino una Laurea ad Honorem.

In occasione del Blue Metropolis Literary Festival di Montreal, Edna Longley ha tenuto un intervento sui rapporti tra la poesia e il processo di pace in Nord Irlanda.

Edna Longley:

Il processo di pace nordirlandese si trova oggi in un momento di crisi, sebbene si debba ammettere che non abbia mai goduto di momenti di maggiore stabilità sin dalla firma del Good Friday Agreement sette anni fa. Le comunità unionista e nazionalista sono tutt’oggi più polarizzate di quanto non fossero mai state prima del 1998. L’unionismo più radicale, quello del Democratic Unionist Party di Ian Paisley, e il suo corrispettivo nazionalista, lo Sinn Fein di Gerry Adams, hanno raccolto un consenso elettorale ben più ampio di quanto non siano riusciti a fare le loro controparti più moderate. In aggiunta, l’assemblea del Governo semiautonomo di Stormont giace inattiva da ormai due anni. La ragione dello stallo è da ricercare soprattutto nel nodo del decomissioning, ovvero nel rifiuto Unionista a governare insieme allo Sinn Fein fino a quando l’IRA, legata al partito, non smantelli in modo inequivocabile il proprio arsenale.

Un’ulteriore problematica è quindi rappresentata dalla criminità legata agli ambienti paramilitari. L’affinità dell’IRA con un’organizzazione mafiosa (la ‘Rafia’, come è stata popolarmente ribattezzata) è risultata evidente in occasione della rapina di 26 milioni di sterline ai danni della Northern Bank e dai tentativi di ostacolare la giustizia in occasione dell’omicidio di Robert McCartney, un membro della comunità Cattolica assassinato da volontari dell’IRA. Ci sono inoltre sospetti che lo Sinn Fein, che ha tratto un guadagno sia politico che economico dal processo di pace, sia stato più interessato al processo che alla pace vera e propria.

Gli eventi recenti possono essere considerati un banco di prova. Ci troviamo infatti ad un punto in cui il governo Britannico e quello Irlandese sembrano aver raggiunto una completa sinergia di obiettivi e la componente democratica sul suolo d’Irlanda è compatta nella propria aspirazione. I nodi che restano ancora da sciogliere sono se lo Sinn Fein accetterà la riforma della Polizia e entrerà nel riformato corpo di Polizia Nordirlandese (PSNI) e se si concretizzerà una definitiva scissione tra il partito e l’IRA. La crociata per la giustizia intrapresa dalle sorelle McCartney ha sicuramente evidenziato la portata delle divisioni esistenti in seno allo stesso movimento nazionalista, ma occorre aggiungere spaccature politiche e problemi legati alla criminalità paramilitare sono presenti anche all’interno della comunità unionista.

Cosa ha a che fare la poesia con tutto questo? Ovviamente la poesia non ha un’influenza diretta, sebbene sia divenuta un’abitudine dei politici, o più esattamente di coloro che redigono il testo dei loro interventi, ricorrere a citazioni poetiche durante i discorsi, ma la poesia è generalmente considerata il risultato creativo più caratteristico raggiunto dal Nord Irlanda a partire dalla metà degli anni ’60. In un recente articolo del Guardian uno scrittore parlava della Golden Age della poesia del Nord Irlanda. Indubbiamente tra le qualità che la poesia possiede c’è la capacità di manifestare ed esplorare le complessità culturali che investono la politica e che il Nord Irlanda tende a semplificare binariamente. Il che non equivale a dire che la poesia riflette passivamente la situazione o che rifletta sulla situazione, dal momento che la poesia partecipa alla situazione ed è proprio questo che le consente di dare forma alle complessità che la attraversano.

Dal momento che il Nord Irlanda è un luogo in cui Irlanda e Regno Unito si confondono, le tradizioni poetiche si articolano per così dire nell’incertezza. Allo stesso tempo è questa stessa instabilità che rende la poesia consapevole del proprio processo creativo e delle proprie prospettive. E che rende i poeti profondamente consapevoli gli uni degli altri fino al punto che i loro versi sono impegnati in un dialogo che si articola su più livelli e che si realizza tra e all’interno delle stesse composizioni liriche.

Il British Council ha da poco pubblicato una collezione di saggi intitolata “Britain and Ireland: Lives Entwined” con una prefazione curata da entrambi I primi ministri delle due nazioni. Il volume testimonia il buono stato di salute in cui versano i rapporti intergovernativi. I testi contenuti nella raccolta sono stati redatti da accademici, politici e giornalisti che si sono interessati al processo di pace anche con modalità dissimili tra loro. Il mio personale contributo utilizza la poesia per esemplificare la difficoltà nell’individuare con esattezza il confine culturale tra l’Irlanda e la Gran Bretagna. Con questo intervento non intendevo ribadire che i poeti provengono sia dalla comunità Protestante unionista che da quella Cattolica nazionalista, nè tantomeno che sia i poeti che i loro versi non abbiano mai aderito a precise posizioni politiche. Il mio punto di vista è piuttosto che la poesia faccia ricorso a tutto il materiale culturale a propria disposizione e che s’impegni nella messa in dicussione del linguaggio, del simbolo e dell’identità ad un livello di analisi più profondo di quanto non siano abituate a fare sia la politica che le politiche culturali.

I poeti nordirlandesi scrivono generalmente in Inglese, sebbene siano consci delle contaminazioni provenienti dal Gaelico e dallo Scozzese che caratterizzano la locale varietà d’Inglese. Conseguentemente il loro utilizzo della lingua Inglese è influenzato dalla consapevolezza che lo stesso linguaggio nello stesso luogo può essere condizionato da differenti codici culturali e da diversi sistemi religiosi e metafisici. La poesia nordirlandese è pertanto estremamente accorta nella selezione linguistica e consapevole dei vari livelli interpretativi che ad essa sono correlati. Forse è proprio questa consapevolezza a rendere la conversazione poetica un modello genuino di processo di pace, così come un emblema della locale complessità culturale.

I critici spesso riducono i termini del discorso sulla lirica nordirlandese ad una semplice questione di poesia e Troubles. Cosicchè, dalla seconda metà degli anni ’90, i giornalisti hanno iniziato a domandare ai poeti e agli scrittori locali “Che cosa scriverete adesso?”. Come si può facilmente intuire non tutte le risposte a questo tipo di domanda sono state garbate. Una risposta sensata potrebbe essere che sia giunto il momento che i lettori inizino a leggere in una nuova ottica piuttosto che gli autori scrivano su altri argomenti. Un’altra possible risposta è che il Nord Irlanda continua ad essere un luogo in cui narrative storiche inconciliabili coesistono, mentre sono ancora pochi i memoriali che accomunano il cordoglio per le vittime degli ultimi trent’anni ed è questo dato di fatto ad indurre a pensare che un processo di riconciliazione definitivo potrebbe richiedere ancora numerose generazioni. La poesia di Ciaran Carson ‘Romeo’, tratta da una sequenza di poesie intitolate seguendo l’alfabeto della polizia, chiarisce questo punto e offre inoltre un’ironica versione della diversità culturale.

Uno dei motivi per le quali preferisco l’utilizzo del termine inter-culturalismo a multiculturalismo è che il secondo mi sembra più soggetto al fenomeno della polarizzazione e conseguentemente ad alludere a ristrette frontiere mentali. C’è infatti chi ritiene che il nostro processo di pace sia in crisi proprio perchè sia troppo basato sul coinvolgimento degli estremi, perchè la struttura stessa del governo semi-autonomo ha istituzionalizzato la radicalizzazione delle posizioni e perchè i politici non siano stati sufficientemente incentivati ad aderire a posizioni comuni. Il dialogo stesso può trasformarsi politicamente, e poeticamente, in un cliché. Il dialogo è addirittura diventato uno strumento di propaganda di alcuni politici che millantano di dialogare. La mia opinione è che ci siano stati purtroppo molti monologhi a proposito del dialogo. Il poeta Luis MacNiece ha scritto che il dialogo è la morte del linguaggio. Forse ciò che la poesia nordirlandese sta cercando di fare in modi diversi è proprio prevenire quella morte. Se il cerchio tra dialogo e poesia e troubles rischia di essere un cliché, ovviamente anche la poesia e il processo di pace corrono lo stesso pericolo. Vorrei quindi mettere in discussione la concezione che la poesia sia ipso facto pacifista, dal momento che se così fosse la rabbia dovrebbe essere bandita dai versi.

Immediatamente dopo l’inizio della Guerra in Iraq, è stata pubblicata in Inghilterra un’antologia dal titolo “101 Poems Against the War”. Ma gli stessi componimenti, alcuni dei quali estratti dall’Iliade, non si allineavano necessariamente entro una posizione così netta. Probabilmente pessime poesie contro la Guerra in Iraq non sono meglio di pessime poesie a favore della prima Guerra Modiale. Il poeta Inglese Coventry Patmore ha scritto: “The end of art is peace” e questo motto è stato un ironico ritornello della poesia Irlandese moderna. Nel 1912, ad esempio, WB Yeats lo quotò in un’infuocata poesia contro l’attegiamento filisteo dell’Irlanda nei confronti dell’arte “Delight in art whose end ist peace'”. E nel 1980 Paul Durcan scrisse scoraggiato: “Lament in art whose end is war, our slayings are what’s news”. Seguire la storia della citazione “the end of art is peace” nella poesia Irlandese comporta la presa di coscienza che la pace non rappresenta un’astratta e trascendentale comodità. Chiaramente nenache si può considerare l’assenza di violenza, completa o relativa, come un fenomeno dal carattere negativo. La pace è in prima istanza peculiare al proprio contesto storico. In seconda analisi suggeririrei che sono le qualità per cui si differenzia dalla situazione di Guerra a cui pone termine a definirla in modo più accurato.
Vorrei a questo punto analizzare tre conversazioni sulla pace estratte dalla produzione lirica del Nord Irlanda. La prima illustra la radicata tendenza a pensare entro degli estremi polarizzati. La seconda presenta delle immagini di pace mentre la terza si rivolge direttamente al ruolo della poesia e dell’arte. Nelle poesie composte tra il 1994 e il Good Friday Agreement riscontriamo spesso coppie di personaggi che si confrontano; Caino e Abele, Capuleti e Montecchi, Billy e Seamus per quanto riguarda Ciaran Carson. Il sonetto di Michael Longley “Ceasefire” descrive Priamo e Achille impegnati in un difficile dialogo
La poesia fu pubblicata dall’Irish Times subito dopo l’annuncio di un cessate il fuoco dell’IRA. È evidente come qualsiasi guerra implichi due posizioni opposte, ma ciò che la poesia nordirlandese suggerisce è che ci sia una detreminata ostinazione nella polarità, un senso di alterità che entrambe le parti coinvolte nel conflitto promuovono e difendono con modalità non dissimili. Occorrenza che non deve stupire, trattandosi fondamentalmente di poesie che hanno per argomento una guerra civile. In questo loro aspetto sono in grado di registrare la paradossale vicinanza e reciproca consapevolezza dei combattenti. “Whiterhorns” di paul Muldoon è una parabola di questa intima polarità. Nel componimento viene descritto un fattore che ha violentemente piantato nel terreno una recinsione per “‘keep our oats from Miller’s barley'”. Nella poesia Muldoon riesce a trasformare un’immagine di polarizzazione in una rappresentazione della molteplicità: i ‘maxed out, multilayered whitethortns’ di Muldoon sembrano così rappresentare un ottimistico, e idealistico, simbolo del Good Friday Agreement, preannunciato in termini di pluralismo, abbondanza, diversità, correttezza, dialogo, “parleying”.
Michael Longley “At Poll Salach”, composta subito dopo la stipulazione ufficiale dell’accordo, offre un’esitante immagine floreale come metafora dello stesso accordo.
Edna Longley, 20th Century PoetryÈ evidente dunque come i poeti alternino scenari di crescita e fioritura a scorci di morte e di gelo invernale. Questi ritratti coincidono con il meditato paesaggio pastorale descritto in “Tullond” da seamus Heaney, anch’essa composta in occasione di una tregua dell’IRA. In “Tolland”, in cui immagini della Danimarca e del Nord Irlanda si fondono, Heaney rappresenta la pace come un luminoso panorama post-tribale, in una visione che si allarga progressivamente, immagine che ricorre anche in altri componimenti, come in “Breath” di Ciaran Carson. Nell’opera, tratta da una recente raccolta dell’autore la comparazione di un elicottero dell’esercito britannico con una lavatrice conduce ad un’altra tematica presente in questi componimenti: la pace come recupero della prospettiva domestica, ardente aspirazione di poesie sulla guerra civile infuocato espresso da una poesia di guerra civile in cui ambiente domestico e campo di battaglia si confondono.
‘In Belfast’ di Sinead Morrisey si articola tra immagini ordinarie e segni di normalità commerciale. Sebbene la quotidianeità del quadro sia abbastanza evidente, non mancano comunque segni dell’imperialismo e il componimento ci restituisce una timida rappresentazione della pace: lo spazio per respirare si allarga ma rimane pur sempre precariamente costretto tra la tenacia del fiume e il cielo di ferro. Il termine “home”, problematico nel componimento della Morrisey così come in “Tolland” di Heaney, è un nodo fondamentale della poesia composta negli ultimi 35 anni. Le speculazioni sull’eventualità di identificare il Nord Irlanda quale home, i termini entro cui tale possibilità potrebbe manifestarsi, rappresentano il contributo poetico alla pace conclusiva di un conflitto civile.

Al di là del simbolismo e della crescita organica, dello spazio e della quotidianità, queste poesie sono animate anche da un significativo linguaggio del corpo, nell’inclusione di speranzose scene di guarigione fisica e politica. Considerando che le vittime del conflitto sono state più di tremila e numerosi sono stati i feriti, si comprende come l’elegia sia stata un genere poetico prominente nella produzione nordirlandese contemporanea.

L’elegia “Drawing Ballerinas” di Medbh McGuckian è stata composta, secondo le parole dell’autrice, per commemorare la morte di una ragazza ad opera di una bomba dell’IRA. La poesia dipinge un quadro in cui il corpo violato della ragazza risorge come un’icona di spazio e di biancore. Nuovamente dunque, come era accaduto in “Whitethorns” di Muldoon e nell’apertura di nuove luci e nuovi spazi nel componimento di Heaney, anche nei versi di McGuckian sembra essere presente una proiezione di pace e unità. Le note che McGuckian ha allegato al testo citano Matisse. Lo stesso Matisse, interrogato su come avesse sopravvissuto artisticamente alla guerra, rispose che aveva trascorso gli anni più duri dipingendo ballerine. Non credo che McGuckian volesse dirci che la pace è la fine dell’arte con questa citazione. Piuttosto credo che volesse suggerirci che non sia funzionale alla pace il sacrificio dell’arte alla guerra. Poichè la poesia nordirlandese ha continuato ad essere conscia del proprio ruolo, sia dal punto di vista estetico che da quello culturale, è riuscita a mantenere aperte tutte le proprie possibilità, e forse ad indiciduare dei varchi per altre ancora. La poesia rivisita continuamente le proprie affermazioni mentre la storia muove lentamente in avanti. Un aspetto che hanno in commune i componimenti che ho citato è rappresentato dalla loro stratificata inafferabilità, realizzata ripercorrendo poesie scritte in momenti precedenti dei troubles e rifacendosi a diverse tradizioni poetiche, dalla poesia pastorale alla poesia di guerra.

Giungo infine alla citazione del pregevole pezzo di prosa critica di Seamus Heaney, ‘Cessation 1994’. Il pezzo, scritto in occasione del cessate il fuoco dell’IRA, ripercorre un momento creativo cronologicamente precedente: un particolare periodo negli anni ’60 in cui progressi politici e artistici furono correlati. La retrospettiva di Heaney non vede differenze tra la discussione artistica e politica che caratterizzò quei giorni precedenti allo scoppio dei troubles. Heaney prosegue ricordando una settimana trascorsa in viaggio con David Hammond e Michael Longley nel Maggio del 1968, quando insieme portarono in giro per la provincia, in scuole, biblioteche e hotel appartenenti ad entrambe le comunità, il loro repertorio di poesie e di canzoni. Heaney conclude quindi il saggio invocando nuovamente lo spazio e l’immaginazione, sostenendo che una dimensione trascendente sia in qualche modo indispensabile alla costruzione della pace. Parla di qualcosa le cui radici più profonde si trovano nella trascendenza oltre l’orizzonte. Ed è forse questa, in ultima analisi, la maniera in cui tutte queste poesie trovano collocazione nel processo di pace. Tutte infatti suggeriscono che la pace non si alimenti soltanto dell’urgenza di una discussione reale, del pragmatismo dei negoziati e del lento smantellamento dell’attitudine mentale alla conflitto civile; la pace, come la poesia, deve anche essere immaginata.

Traduzione a cura di Francesca Fodale

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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