di Antonio Menna, febbraio 2005
Un gruppo è nascosto nei pressi dell’altra abitazione di cui ha disponibilità Nunzia; vi sono poi le abitazioni ubicate nella zona del Buvero, presso la famiglia Sorrentino: si tratta di due abitazioni che sono ubicate in un palazzo; ancora, l’abitazione della suocera di Pasquale o’ Vichingo, ubicata nel rione Gescal; l’abitazione della suocera di Paolo De Lucia (famiglia Altamura). Ci sono altre case nel Terzo Mondo che non saprei indicare”. Sono le 23 e 55 di una serata di fine novembre; nel carcere di Poggioreale ci sono il pm della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Corona, due agenti di polizia penitenziaria e due carabinieri del Reparto Operativo di Napoli. Hanno di fronte un detenuto, Pietro Esposito (arrestato due giorni prima per l’omicidio della giovane Gelsomina Verde), il quale sta snocciolando i luoghi dove i latitanti potrebbero trovare rifugio.
Le dichiarazioni di Esposito danno la possibilità agli inquirenti di intrecciare vicende personali, ricostruire fatti, capire l’organizzazione. Ma i carabinieri non arrivano impreparati all’appuntamento con le dichiarazioni del pentito. Già da tempo, infatti, tengono sotto controllo l’organizzazione criminale di Secondigliano. Per un curioso caso gli inquirenti, ancor prima che scoppiasse la faida tra i Di Lauro e gli scissionisti, stavano effettuando un’inchiesta su un giro di auto rubate e avevano sotto controllo alcuni gregari del clan. Da quella indagine, da quelle intercettazioni, avevano già capito che quei ladri d’auto, quegli specialisti nei cavalli di ritorno, non erano solo “semplici” ladri di periferia: c’era di più. E le dichiarazioni di Esposito confermavano quelle sensazioni.
Il pentito riempie pagine e pagine di verbali, racconta tutto quello che sa e anche quello che ha sentito dire: i carabinieri, intanto, piazzano cimici. Con le loro intercettazioni entrano nelle auto dei gregari, nelle case dei boss, raccolgono gli sms e provano a decifrarli, impiantano una microspia perfino in un televisore destinato a un covo di latitanti. Così, da un orecchio ascoltano Esposito e dall’altra si sintonizzano sulla vita quotidiana del clan. Il tutto, nel bel mezzo di una faida sanguinosa, che lascia decine di morti sul selciato. Alla fine, arriva il blitz. In due colpi, i carabinieri smantellano il clan Di Lauro. Prima arrestano una ventina di uomini di spicco, poi arrivano a mettere le mani su Cosimino, il rampollo di famiglia e capo sanguinario. Nelle carte di quegli arresti, una vera e propria saga di camorra, una sorta di romanzo popolare, un grande, a tratti terribile, racconto di che cos’è la camorra, oggi, a Napoli, nel cuore di una guerra. La Voce è in grado, in esclusiva, di ricostruire la tela di segreti del clan Di Lauro, cominciando dalla nascita di questa potente organizzazione criminale e finendo con il blitz che, alla fine di una minuziosa opera di investigazione e di intelligence dei carabinieri diretti dal generale Giuliani, ha assestato un colpo durissimo a capi e gregari.
Come nasce un clan
Le zone sono ripartire in maniera rigorosa e ordinata. La Masseria Cardone resta agli eredi del clan Licciardi, la zona di Miano, Piscinola, area Birra Peroni, Ice Snei e San Gaetano al clan Lo Russo; quella di Scampia, Vele, Terzo Mondo e rione Berlingieri (il cuore di Secondigliano) a Di Lauro e il rione Don Guanella al clan Bocchetti. Ciruzzo estende il suo potere anche in altre aree ma costruisce ovunque un gruppo di potere autonomo e organizzato: nel rione Monterosa colloca Raffaele Abbinante, di Marano; a San Pietro a Patierno, nella zona circumvallazione, ai confini con Mugnano, altri sui fidatissimi come Sacco, Prestieri, Grimaldi e Stabile.
I carabinieri del nucleo operativo di Napoli stanno provando a mettere le mani su Ciruzzo ‘o milionario da anni. Nel febbraio scorso, nel corso di un’inchiesta che ha viaggiato in tutto il nord Italia, ci sono arrivati ad un passo, riuscendo ad arrestare il primo figlio di Paolo, Vincenzo, fermato a Chivasso. Ma di lui nessuna traccia: un giorno viene dato per espatriato, forse in Spagna, a Malaga; un altro giorno è segnalato a Secondigliano o a Melito; un altro giorno ancora in Romagna, tra Ravenna e Riccione. Di certo, la sua latitanza è fatta di cautela e attenzione: non ha un cellulare e comunica all’esterno solo con bigliettini scritti a mano. Il suo covo è conosciuto solo ad un paio di fedelissimi e, probabilmente, ai suoi quattro figli prediletti: Vincenzo, appunto, Cosimino, 32 anni, che ha gestito il clan ed è finito in manette poche settimane fa, e i due minori Marco (25 anni, latitante) e Ciro (27 anni, arrestato il 7 dicembre scorso).
La catena di comando
Il clan Di Lauro, prima della raffica di arresti che ne ha scompaginato la composizione, era organizzato con la classica struttura piramidale. Sulla punta più alta c’è Ciruzzo che, a differenza di quanto si dice, controlla ancora l’organizzazione dal suo nascondiglio. Sotto di lui, come capo sul territorio, c’era il figlio maggiore Vincenzo; poi Cosimino. Paolo, Vincenzo e Cosimo Di Lauro erano il cuore del clan, il cui interesse principale è il traffico e lo spaccio di droga, il racket e il reinvestimento in decine di attività turistiche, soprattutto alberghiere e prevalentemente all’estero. Subito sotto i tre, c’erano gli altri due figli, Marco e Ciro. Il primo era responsabile della sorveglianza armata nel rione: Marco reclutava personalmente le sentinelle, provvedeva a esaminarle e a vigilare sul loro lavoro. Ciro, invece, era il contabile, il responsabile economico, quello che divideva gli introiti e teneva i conti.
Una struttura di comando a cinque, dunque, rigorosamente familiare. Il boss e i suoi quattro figli. L’uomo di più stretta fiducia del clan era Giovanni Cortese, detto il ‘cavallaro’, 25 anni, noto alle forze dell’ordine per essere uno specialista nei furti di auto e nei “cavalli di ritorno”, arrestato alla fine di dicembre ad Angri. In realtà, dall’inchiesta, il ruolo di Cortese emerge per essere ben più importante. Il cavallaro, infatti, è il portavoce del clan, quello che porta gli ordini dai capi alla struttura. Il collaboratore più stretto di Cortese è Enrico D’Avanzo, detto ‘erricuccio’. Altro importante uomo di fiducia è Gino Petrone, una sorta di manager delle attività economiche illecite; con lui collabora Nanuccio La Monica. Questo team terrorizzava Secondigliano, con un feroce gruppo di fuoco e una capillare rete di fiancheggiatori. Nel manipolo di killer figuravano Emanuele D’Ambra, Ugo De Lucia, detto ‘Ugariello’, Nando Emolo, detto ‘o’ schizzato’, Antonio Ferrara, detto ‘o tavano’, Salvatore Tamburino, Salvatore Petriccione, Umberto La Monica, Antonio Mennetta. Al di sotto, i fiancheggiatori, cioè i capizona: Gennaro Aruta, Gennaro Marino (passato agli scissionisti), Ciro Saggese, Fulvio Montanino (ucciso in un agguato), Antonio Galeota, Giuseppe Prezioso (guardaspalle personale di Cosimo Di Lauro) e Costantino Sorrentino.
Omicidio in diretta
Ecco come il pentito Pietro Esposito racconta il clima nel quale il gruppo di fuoco si prepara ad un’azione di morte. “Quella mattina vidi nel rione che si stavano preparando due batterie di uomini. Vidi in particolare Ugo, Pasquale, Totore O Marinaro e suo nipote Nino, Peppe a Befana, un altro ragazzo che io chiamo Peppiniello e Nando. Io mi trovavo poco distante insieme ad un mio amico che si chiama Angioletto e ad altri due ragazzi incensurati. Capii subito che si stavano recando a commettere degli omicidi. Successivamente seppi che Nando, Peppeniello e Peppe ‘a Befana si erano fatti preventivamente dare una macchina da un ragazzo che fa i cavalli di ritorno che si chiama Giovanni Di Vaio, una Ford Fiesta di un colore che non ricordo. Con questa auto si recarono nel Terzo Mondo, nei pressi della Caserma, dove si trova un parcheggio, all’interno del quale c’era la vittima, nota con il soprannome di Zi’ Ciccio, che stava leggendo il giornale. Essi lo uccisero, utilizzando armi sulle quali non so dire nulla; poi lo caricarono sulla Fiesta e quindi lo portarono in una strada, dove poi diedero fuoco al suo corpo e all’auto. Dopo aver commesso il duplice omicidio se ne andarono a casa di Totore, che è ubicata a Melito, ma non so dove. In questa casa Luigi De Lucia portò dei vestiti di ricambio ad Ugo. Tale fatto mi venne detto proprio da lui, mentre si accingeva a portare i vestiti”.
Guerra agli scissionisti
La situazione nel quartiere diventa tesa quando esplode la guerra con gli scissionisti, detti anche “gli spagnoli”, un gruppo di ex affiliati al clan che decidono di mettersi in proprio. Si apre nell’organizzazione criminale una vera e propria frattura: comincia la conta. Chi sta da una parte e chi sta dall’altra. Oggetto della contesa, il mercato della droga in gran parte dei rioni di riferimento. Un business miliardario che fa gola a troppi. A dare il via ai malesseri, sfociati nella scissione, è la decisione del capo Cosimino di svecchiare l’organizzazione: alcuni capizona, ritenuti inaffidabili perché avevano trattenuto quote indebite relative al traffico di stupefacenti, andavano sostituiti. Non tutti, però, l’hanno presa bene. Racconta il pentito Pietro Esposito che Cosimo “ha imposto a Melito la presenza di Maione Maurizio, che ha preso il posto di una persona arrestata per estorsione che si dovrebbe chiamare il cinese o il giapponese”. Le dichiarazioni di Esposito consentono agli inquirenti di ricostruire il percorso della frattura. “La scissione si è avuta qualche tempo fa, quando i Di Lauro allontanarono dal clan O’ Lello, Biagino, Cesarino, Pierino, fratello di O’ Lello, ed altri, che si erano presi soldi che non dovevano intascare, ricavati dalla compravendita della droga, da loro introdotta dalla Spagna in Italia. Queste persone si unirono tra loro, anche insieme agli esponenti del gruppo di Mugnano, un tempo legati ai Di Lauro. Insieme agli scissionisti si unirono anche i Maranesi, ossia gli esponenti del gruppo insediato nel rione Monte Rosa e diretto da Papele e Marano. La guerra è iniziata con la morte di tale Giannino, se ricordo bene il nome, un ragazzo che venne ucciso in una Micra rossa. Questo omicidio è stato sempre considerato un fatto commesso dai Licciardi, ma in realtà è stato il primo delitto degli scissionisti. Altra persona uccisa da loro è stata Montanino, detto Fulvietto”.
Petrone: A Fulvio, hanno ucciso a Fulvio
Tamburino: ahh … (incomprensibile)
Petrone: hai capito?
Tamburino: proprio le bombe, proprio, o no? Questo ha detto Cosimino “mo li mando a prendere a uno alla volta … li faccio… malamente” ha detto… tutti quanti…”
Petrone: quelli là… L’importante che ci sta la gente, che “faticano”
Tamburino: Gino, ce ne sono a milioni qua. Sono tutti guaglioni…tutti guaglioni… mo ti faccio vedere che combina quello.
Dalla morte di Montanino comincia un lungo e sanguinoso botta e risposta, con morti su morti: uno, due agguati al giorno, prima i gregari dei due clan, poi i parenti, l’incendio delle case, i pestaggi, i sospetti.
Tamburino: Cosimino è proprio freddo, ha detto “Mangiamo, beviamo, chiaviamo. Che dobbiamo fare… è successo andiamo avanti”
Petrone: ma io non ce la faccio a mangiare. Ho mangiato per mangiare
Tamburino: pure il fatto di Massimino…
Petrone: povero guaglione però… (incomprensibile)… Massimino se ne voleva andare
Tamburino: siamo venuti a saperlo dopo. Però quando venimmo a sapere il fatto di Massimino rimasi… lo sai… Massimino pure era un bravo ragazzo. E’ morto proprio da scemo Massimino.
Petrone: Totore ma non ti fissare
Tamburino: e che ne sappiamo quanti di loro si sono buttati con quelli là… non lo sappiamo!
Petrone: Ah! quanti di loro si sono portati ? Ne sono rimasti un sacco di loro qua Totore! Non ho capito … a questi qua… non gli piacciono i Di Lauro ?
Tamburino: mò chissà come stanno festeggiando la gente. Io se fossi Cosimino sai che farei? Comincerei ad uccidere a tutti quanti. Pure se tenessi il dubbio… (incomprensibile)… a tutti quanti. Inizierei a togliere… hai capito! La prima melma da mezzo.
Raffiche di mitra
La guerra si fa cruenta e arrivano, nella rabbia e nella paura, anche le raffiche di mitra sui carabinieri. Proprio l’episodio dell’agguato a quattro militari in borghese, scambiati per killer mentre giravano in macchina nel quartiere chiamato Terzo mondo, fa capire ai luogotenenti del clan Di Lauro che quella guerra, per come è iniziata, porterà solo danni. L’autore dell’agguato è un gruppo di sentinelle. Il capo di questo gruppo, Giuseppe Grassi, 20 anni, si consegna ai carabinieri. Il tentativo del clan è di allentare la morsa delle forze dell’ordine sul quartiere.
Gelsomina bruciata
Annalisa: Il fatto di quella ragazza…
Petrone: Eh, va bene, ma quello perché, la gente non lo sa… hai capito?
Annalisa: Pure io ho detto… io pure ho detto… no, un nesso ci deve stare… perché sennò è inutile!
Petrone: Quella ragazza lo sai che faceva? Girava lei, vedeva lei chi c’era… una volta che lei vedeva a qualcuno portava spia, tu permetti allora?
Annalisa: Eh…io questo…
Petrone: Questa poi scende… tu per esempio scendi, mi vedi, parli che io, guarda sta Gino là.
Annalisa: Eh, io questo è quello che ho detto, ho detto purtroppo io non penso che…
Petrone: Annalì…
Annalisa: … sono così… cioè sono cose così, sono cose così sceme.
Petrone: Scema… è normale.
Annalisa: Non è così che si uccide, così per uccidere o non… perché… i giornali non lo sanno… che si deve ancora scoprire. Capito?
Petrone: Può scoprire ciò che vuole.
Annalisa: No. Nel senso che… perché è una santa, indubbiamente sarà pure una santa…
Petrone: Quella usciva con uno che se n’è andato con gli scissionisti e usciva pure con Ugariello, con due di loro usciva!
Annalisa: E….
Petrone: Hai capito che voleva fare? Voleva chiamare Ugariello… Amore mio qua è là
Annalisa: Mammina quando ha sentito il fatto di quella ragazza… mamma mia… disse prenditi le cose e vattene.
Petrone: Vabbè, ma tua madre un sacco di cose non le capisce, cioè perché non le sa proprio.
Annalisa: Statti attenta a chi ti dà il passaggio…
Petrone: Ma tua madre non lo sapeva che quella ragazza puzza, puzzava anzi.
Annalisa: Voglio dire… ma tutti quanti ne parlavano di quello che hanno detto tutti quanti… Oh, povera ragazza poi, all’inizio, poi ti metti in un angolo…
Petrone: Perché il telegiornale, all’improvviso… “uccisa una ragazza di 22 anni che faceva volontariato”…
Annalisa: Disperazione della madre… volontariato…
Petrone: Dissi io, e che hanno combinato questi qua? Quello il telegiornale fa vedere quello che vuole…
Intanto la faida continua. Dopo Gelsomina tocca ad altre decine di persone mentre i carabinieri, raccolta tutta la mole di materiale, decidono di intervenire. All’alba del 7 dicembre, mentre centinaia di abitanti del Terzo mondo scendono in strada nel tentativo di bloccare il blitz, i militari del generale Giuliani mettono le mani su gran parte dei protagonisti del clan Di Lauro. Ne arrestano 52. Qualcuno rimane fuori e viene preso dopo. A fine dicembre cade Giovanni Cortese, il ‘cavallaro’. E poche settimane fa Cosimino, il capo dal sangue freddo. Ma nemmeno questi arresti hanno fermato la guerra. E meno che mai, ovviamente, la camorra.