Martina Buckley
Uno dei più grandi registi italiani del dopoguerra è morto lunedì scorso, 30 luglio 2007
O ancora meglio, la trilogia in ligua inglese, i gioielli Blowup e Zabriskie Point e il dimenticato The passenger con Jack Nicholson. L’Antonioni dell’immobilità esistenziale, dei dialoghi vuoti e delle riprese a dettaglio. Dettagli ripetuti, zoomati, spesso in bianco e nero o a colori spenti.
Quando penso alla crisi umana che il grande regista tentava di rappresentare nelle sue pellicole, mi viene sempre in mente la scena finale di Zabriskie Point: Daria che fissa senza espressione o emozioni evidenti la villa del padre, la quale esplode. Ed esplode ancora. Ed ancora, ed ancora, ed ancora. Careful with that Axe, Eugene (la musica dei Pink Floyd che compone gran parte della colonna sonora è parte integrante del film) comincia in sottofondo e, al rallentatore, altre esplosioni, dettagli della casa, pezzi di mobilio, televisori, si susseguono per altri lunghi minuti. Fino a che, silenzio improvviso, la cinepresa torna sul volto sorridente di Daria.
Un mondo che esplode perché la comunicazione è impossibile. Un mondo borghese, arricchito, annoiato (ricordiamoci la futile gita in barca dell’Avventura che dà inizio alla tragedia esistenziale). Un mondo immobile, involuto: un immobilismo che Antonioni trova irrinunciabile nel suo stile, nell’attenzione quasi maniacale ai dettagli anziché al quadro totale della storia. Storie spesso deboli, quasi inesistenti. Perché incomunicabili.
Ci rimangono le sue grandi opere, patrimonio che non verrà mai dimenticato e servirà ancora da modello a generazioni di registi a venire.
Aveva 94 anni Michelangelo, alla sua morte. Un secolo riassunto in una vita, il ‘900, un secolo che lui stesso definirebbe intriso di solitudine e indifferenza.