Andrea Lavazza, columnist del quotidiano italiano Avvenire
Il bambino con gli occhi spalancati guarda i ragazzini terribili che iniziano il loro volo, alti verso il cielo, là dove solo i sogni possono portare. Il bambino li guarda e in un attimo è uno di loro.
Hanno un’arma, ma non spara, non ferisce, non uccide. Lo skateboard riporta al gioco, all’infanzia spensierata. E volare su una tavola con le ruote rollanti è un po’ tornare bambini.
Ma le evoluzioni, i salti e le giravolte sono cose da grandi, da muscoli allenati, da volontà di ferro. Gambe forti e nervi saldi per imparare a volare, per spiccare il volo. Sono uccelli leggeri che fluttuano nell’aria e poi tornano a terra in picchiata, non è facile fermarli, bloccarne l’energia. Ma qualcuno ci è riuscito ed è andato oltre.
A bordo degli skate eseguono perfette performance atletiche, e le immagini guardate in successione creano una storia fatta di ruote, tavole, corpi; ma fatta intessuta dei loro abiti, vere macchie di colore, che si staccano da uno sfondo di case grigie, un’urbanizzazione che lascia poco spazio alla fantasia. Le ruote si misurano con l’asfalto, sembrano sfidare i muri delle case, gli elementi urbani, in una ricerca di contatto, di scambio e interazione continui. E anche l’alternarsi degli scatti in bianco e nero con quelli a colori rende maggiormente la sensazione di un movimento continuo contro la fissità degli edifici.
È l’identità dell’uguaglianza, oltre i nazionalismi, oltre i settarismi e i razzismi di ogni colore; è lo stare insieme sentendo l’appartenenza a un luogo, a un nuovo spazio urbano ridisegnato dalle ruote dei loro skate.
Loro è il merito di cercare di superare gli egoismi e la cecità dei loro padri in modo semplice e spontaneo; il merito di Andrea Varacalli è invece quello di permettere anche a chi non può vederli dal vivo di saltare con loro, di sognare con loro una vita nuova e migliore, di spiccare finalmente il volo.