Les Enfants Terribles

Fuori da ogni schema liberale

Die Dritte Generation

Andrea Varacalli

Die Dritte Generation: La Terza Generazione. Eroina e colore su tela.

“Odio il compromesso” La politica nel cinema di Fassbinder è una costante inscindibile dalla comunicazione delle sue opere. Come Buñuel e Pasolini e molti altri cosiddetti “political filmmakers” hanno fatto, mostrandone completamente la formalizzazione del pensiero antagonista contro i regimi culturali, il flamboyant Fassbinder annichilisce l’arbitrarietà dello scandalo della sinistra tedesca in risposta alla morte di Andreas Baader.
Con Die Dritte Generation, del 1978, l’intellettuale tedesco cerca attraverso una precisa ottica sulle derive del terrorismo la disumanizzazione e l’impalpabilità ideologica della Terza Generazione. La borghesia armata. Grottesco, pura provocazione, irriverente: Fassbinder mette in scena sei brevi commedie un vero e proprio paranoico capolavoro. Manzi da macello, lobotomizzati nel significante metropolitano: la terza generazione non commuove i suoi tirafili. Dipinto come un incubo kandiskyano – un’icona visionaria dettata direttamente sul set dalle decisioni di Werner sulla fotografia – l’astratto della lotta armata diviene demenzialità e manifesto della modernità sovvervisa al capitalismo di Bonn e Washington in Germania Ovest. Un fumetto in dissolvenza ossessiva e satirica; lo script coglie in flagrante l’invenzione lunatica dell’autore di Monaco che lontana dall’essere provvisoria restituisce per intero le stilizzazioni intime conoscitive di Fassbinder con gli ambienti della Rote Armee Fraktion.
Nel santuario del nulla, La Terza Generazione agisce per conto di tutti e di nessuno nella profondità illusoria di non essere manipolati dall’establishment, magistralmente servita in anemia semantica da una spietata sceneggiatura di Fassbinder. “La mia Terza Generazione – dice Rainer Werner – ha meno cose in comune con i suoi predecessori di quanto ne ha con la nostra società e con l’oppressione che questa società esercita sugli individui”. Squisitamente crudele, l’opera del regista tedesco premiata al festival di Cannes nel 1979, si srotola ludicamente con lucidità all’attacco dei media e della società: rei secondo Fassbinder – di aver spettacolarizzato il terrorismo al fine di giustificare la repressione di massa cui sarebbero sottoposte le classi proletarie tedesche. Spinti dall’estasi del pericolo e totalmente privi di una prospettiva politica e di motivazioni, il metalinguaggio narrativo che Rainer fa vomitare alla sua terza generazione procede in parallelo al silenzio di Germania in Autunno; documentario e liturgia di una cerimonia in 35mm del massacro di Stemmheim nell’ottobre del ’77.
Il processo di astrazione supera in questo modo una nuova soglia visionaria. A quattro anni dalla morte, il prolifico autore dei leather’s bar newyorkesi riquadra un’allucinazione psicotropa vissuta a pieni ritmi sul set senza mai metterne in discussione i suoi processi di realizzazione.
L’eroina, autenticamente trasversale seppur presente, sdoppia la rotondità scenica e il colore facendo emergere, in una delle opere più straordinarie dell’intera produzione di Fassbinder, l’unicità deformante e pittorica di Die Dritte Generation.

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