Martina Buckley
Un film graffiante marca il ventesimo anniversario della famiglia più cinica e disfunzionale d’America
I Simpson li conosciamo tutti. Sono un’icona della nostra generazione, il loro stile grafico è ormai un modello per molti disegnatori e fumettisti. Creati nel 1987 da Matt Groening, all’inizio avevano un aspetto alquanto diverso. Tratti più acuti, taglienti, arrabbiati. A poco a poco la linea si è addolcita ed i caratteri si sono affinati. Di tagliente è rimasto l’umorismo cinico, la critica spietata verso la società Americana che nell’ultimo ventennio ha visto alternarsi tre amministrazioni Bush, il regno della famiglia Clinton, due guerre del Golfo, 9/11 e l’apoteosi del terrorismo internazionale ed una grave crisi economica e di valori interna.
I personaggi sono gli stessi, le avventure simili a quelle televisive. La famiglia ha sempre i soliti problemi ed Homer, “probabilmente l’uomo più stupido d’America”, come lo ha definito lo stesso Matt Groening in un’intervista, riesce nonostante tutto a diventare ancora una volta l’eroe della storia.
Marge è il simbolo della classica casalinga o “homemaker” come il ruolo viene invece definito in America. Inconfondibile per l’assurda capigliatura, rientra perfettamente nel suo stereotipo, spesso da sola a bilanciare l’irruenza del figlio e l’inettitudine del marito.
La satira della famiglia giallastra non risparmia nessuno, democratici e repubblicani, ambientalisti e conservatori. è una boccata d’aria fresca tra le produzioni televisive e cinematografiche d’oltreoceano, spesso intrise di retorica stantía e di buonismo soffocante. Attendiamo con speranza il quarantesimo anniversario. C’è ancora molto da narrare di politica e società statunitense, soprattutto con le presidenziali del prossimo anno. I Simpson non possono andare in pensione proprio adesso.