Les Enfants Terribles

Fotoreporter in Sicilia

Testimonianza di Franco Zecchin

Questa testimonianza risale ai primi anni ottanta, quando era in corso di preparazione un libro sul giornalismo in Sicilia, che poi non si fece. Tale lavoro avrebbe dovuto contenere pure un testo di Marcello Cimino, cronista storico de L’Ora. Ma le dodici cartelle che lo componevano sono andate purtroppo perdute. Resta solo la breve lettera che accompagnava il testo e la fotocopia che fece pervenire del primo numero di “Chiarezza”, giornale palermitano dell’immediato dopoguerra impegnato nella denunzia dei fenomeni mafiosi, con cui Cimino aveva collaborato. Di quel progetto rimangono comunque altre testimonianze, anch’esse inedite, che una alla volta, a partire da questa di Franco Zecchin, sul mestiere di fotoreporter nella frontiera palermitana, verranno proposte nell’ambito della sezione “Dibattito sul giornalismo in Sicilia”.
(C. Ruta)

Ho iniziato a lavorare per il quotidiano “L’Ora” nel 1975, sei mesi dopo il mio trasferimento a Palermo, dopo aver passato quasi 21 anni della mia vita a Milano, dove sono pure nato.
L’impatto con la città così ricca di misteri, trame, suggestioni, di un’umanità ribollente di contraddizioni fu traumatico e illuminante. Lavorando per un quotidiano in Sicilia capita che nell’arco di 24 ore passi attraverso una concentrazione di argomenti così diversi e contrastanti tra di loro da sembrare di vivere in un film.
Muore un tossicodipendente, devi correre all’ospedale, incontrare il dolore dei parenti, fotografare abusivamente il cadavere, riprodurre una fototessera e poi subito si inaugura una discoteca e una galleria d’arte o una boutique e ti trovi in mezzo ad un cocktail mondano con gente elegante che pensa a divertirsi e a farsi notare; poi crolla un palazzo nel centro storico e scoppia un incendio o c’è un incidente mortale e devi essere in prima fila con i soccorritori, saperti orientare al buio, sotto la pioggia, tra le macerie, la gente ti coinvolge esasperata dai problemi della casa, del lavoro e i bambini ti assaltano chiassosamente chiedendoti ritratti a solo e ancora corri al consiglio comunale o all’assemblea regionale per l’elezione del presidente o una commissione che si riunisce o una delegazione di lavoratori che protestano e cerchi di riconoscere i giochi politici, le nuove alleanze, l’uomo emergente dell’ultima fila ora e poi all’improvviso corri verso un luogo, una strada di qualche quartiere dove è stata segnalata una sparatoria, forse c’è un morto per terra o dentro un’auto o in casa o in un pronto soccorso di qualche ospedale, non si sa mai chi è prima di fotografarlo, per avere notizie c’è tempo dopo, la foto la devi fare subito e non sai se incontrerai la reazione violenta dei parenti o te lo impediranno i poliziotti per ordine del magistrato. E poi c’è l’avvenimento sportivo, i tifosi esaltati, lo sciopero generale, la festa di carnevale, il processo in un’aula del palazzo di giustizia, il vertice antimafia in prefettura, gli arrestati alla squadra mobile, lo spettacolo teatrale, i bagnanti sulla spiaggia di Mondello, la manifestazione degli studenti, la processione del santo del quartiere con i cantanti napoletani e la festa notturna.
Ad affrontare tutto ciò sei solo con la tua macchina fotografica, l’obiettivo è come uno scudo che ti protegge, un diaframma che ti separa dalla cruda realtà e che ti riveste di una invulnerabilità incosciente.
Sono 24 ore sudate e frenetiche, hai sempre poco tempo per approfondire perché il quotidiano vuole le foto scattate nella mattinata già stampate sul tavolo della redazione entro le 12 e quelle della sera prima entro le 8 del mattino.
Ciò significa tornare subito allo studio e sviluppare appena hai scattato l’immagine sufficiente a raccontare l’avvenimento, ridurre al massimo i tempi di stampa ed avere sempre l’attrezzatura efficiente per affrontare qualsiasi situazione improvvisa. Sei obbligato ad essere testimone diretto degli avvenimenti che succedono nelle 24 ore di 365 giorni dell’anno senza esclusione di feste.
Il giornalista può anche farsi raccontare il fatto, il fotografo no, ci deve andare di persona, deve essere in prima fila, proprio materialmente non deve avere nessun ostacolo davanti a lui, deve aspettare che il fatto accada e quindi si trova nel ruolo di chi ne verifica la veridicità e spesso lo fa anche per il giornalista.
Questo ruolo primario dell’informazione è spesso considerato subordinato. È ovvio che in un giornale deve esistere una collaborazione attiva tra la cronaca ed il fotografo. Quest’ultimo, che deve saper riconoscere magistrati, politici, investigatori, sindacalisti, personaggi della cultura, dello spettacolo, dello sport e della finanza, che può fare in un giorno anche dieci servizi diversi, deve avere alle spalle una redazione che gli fornisca tutti i dati indispensabili per lavorare. E spesso questi dati si possono raccogliere solo andando sul posto.
Il fotografo rivela subito la sua presenza nell’atto di fotografare e non può mimetizzarsi anonimo tra la gente per carpire notizie; inoltre tutti sono sempre più disposti a parlare che a lasciarsi fotografare e la sola presenza di una macchina fotografica può creare chiusura ed ostilità anche se non viene usata.
Fotografando “la mafia” sei sempre in una situazione di pericolo; a parte le minacce, le violenze fisiche e verbali, le lettere anonime, ti trovi spesso isolato ad affrontare un soggetto sfuggente, infido, traditore, non capendo mai bene quale ingranaggio stai andando a documentare, se e fino a che punto sarai tollerato. Trovi sempre qualcuno che si arroga il diritto di impedirti di lavorare e non sai mai quanto lo puoi sfidare.
Affrontare questa realtà quotidianamente è molto logorante ma la frustrazione più profonda è quella di vedere le foto, che spesso sono costate rischio e fatica in più per ottenere il meglio, pubblicate con tagli arbitrari e didascalie inesatte in formato francobollo grigio uniforme, spesso usate solo per occupare uno spazio vuoto.
Ma chi ha insegnato al giornalista il valore della fotografia? Come può impaginarla senza capire che una foto, oltre ad essere notizia è anche composizione, luce, estetica e che ha diritto ad un suo spazio?
Purtroppo lo svilimento quotidiano del lavoro del fotografo da parte di persone incompetenti e spesso arroganti, insieme con le difficoltà a reggere un ritmo di vita così intenso, ha scoraggiato molti giovani che avevano iniziato questa professione con talento e che hanno preferito altri impieghi anche economicamente più sicuri.
Con Letizia Battaglia, nel ’75 fondammo il gruppo “Informazione Fotografica” in grado di garantire una organizzazione di studio-laboratorio che potesse far fronte a tutte le richieste della redazione de “L’Ora” coprendo la cronaca 24 ore su 24.
Abbiamo insegnato il mestiere a decine di giovani collaboratori ma i più hanno poi cambiato, soprattutto perché non se la sentivano di continuare con il lavoro nero.
È una realtà dura e ingrata che abbiamo imparato presto ad affrontare con energia e spirito di iniziativa.
Gran parte dei periodici nazionali ed esteri ci conosce per la nostra presenza continua sulla cronaca e per l’organizzazione dell’archivio che comprende ora quasi 40.000 fotogrammi.
Ogni tanto, ad alcune settimane dai fatti successi (se importanti), arrivano gli inviati stranieri: tedeschi, francesi e anche inglesi, americani, olandesi, spagnoli, canadesi, belgi, svizzeri e dato che i fatti sono ormai lontani occorre qualcosa di più particolare, qualche rivelazione nuova. Alcuni ci chiedono di farli incontrare con un mafioso, altri preferiscono inventarselo: un settimanale conservatore francese, “L’Express”, arrivò persino a pubblicare un servizio, con fotografo e giornalista inviati da Parigi, su un consigliere comunale comunista, ritratto ed intervistato sul suo quartiere, il Capo, scrivendo che era un noto boss mafioso, un padrino comunista del quartiere che aveva persino ordinato esecuzioni di picciotti che non avevano accettato la sua legge. E ancora Gaia Servadio, esperta di mafia, conclude l’articolo apparso su “L’Observer” del 24 aprile 1083 scrivendo che può capitare che ordinando carne di maiale al ristorante ti possano servire un pezzo di qualcuno scomparso.
A parte questi episodi, la fantasia e l’ingenuità degli inviati stranieri, che devono spiegare la mafia ai loro lettori e che si rivolgono a noi per avere qualche consiglio e chiarimento, ci stimola spesso a fare il punto della situazione, a giudicare con un po’ di distacco gli avvenimenti in cui siamo immersi.
E ci accorgiamo anche che l’immagine della Sicilia che loro si aspettano è lo stereotipo mafia-scialli neri e coppole-luparapescatori e contadini sullo sfondo di fichi d’india.
È un’immagine diffusa da molti film e libri che, per esigenze commerciali, hanno bisogno più di puntare sul folklore e sulla spettacolarità, ma che è molto distante dalla meno avventurosa ma ben più triste realtà in cui viviamo. Ora, con il terzo livello, gli stranieri sono un po’ in crisi: come fanno a spiegare di alta finanza, banche, riciclaggio, esattorie e multinazionali della droga a lettori che si aspettano ancora una Sicilia aracaica e tribale?
E ritornando all’Italia ci accorgiamo che i giornali, che ci chiedono elenchi di foto di personaggi, di morti ammazzati, di funerali, di processi, che variano a seconda del periodo, ma che sono sempre simili tra loro, hanno sempre più ridotto la fotografia a dimensione filatelica, dove per questione di leggibilità le immagini sono diventate teste o mezzibusti e che il risultato di questa involuzione è l’intercambiabilità della foto, una sorta di identikit dove basta cambiare didascalia e qualche connotato per ottenere un altro personaggio.
Di fronte a questo panorama deprimente abbiamo deciso di cercare altri spazi per poter sviluppare autonomamente il nostro discorso fotografico.
Con il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”, di cui facciamo parte, abbiamo organizzato una mostra sulla mafia che riunisce in un colpo d’occhio immagini di crimini, accumulazioni sul territorio, connivenze e processi tratte dal nostro archivio ed organizzate con un breve testo illustrativo di Umberto Santino. Avevamo fotografato troppi cadaveri di persone che stimavamo per il loro impegno antimafia e non volevamo restare solo testimoni impotenti di queste stragi; abbiamo cercato di contribuire con i nostri mezzi ed il nostro lavoro a stimolare la nascita di una nuova coscienza pubblica che prendesse posizione contro la mafia. La mostra fu montata il giorno dopo l’uccisione di Cesare Terranova su pannelli in piazza Ungheria ed ebbe un notevole impatto sul pubblico ottenendo a caldo reazioni incoraggianti. La portammo pure a Corleone e fu un’esperienza emozionante: dopo pochi attimi di generico interessamento la piazza del paese si svuotò e rimanemmo soli con le nostre fotografie.
Capimmo quale potere di informazione e di rottura avevamo e che avremmo dovuto muoverci con più cautela.
Da allora la mostra, con il titolo “Mafia oggi”, ha girato nelle scuole siciliane, è stata vista, letta e commentata da migliaia di studenti, è andata a Londra, Amsterdam, in Germania in nord-Italia, è stata continuamente aggiornata e tutt’ora è prenotata dalle scuole dall’inizio alla fine dell’anno scolastico.
A fianco di questa abbiamo organizzato, sempre con il Centro Impastato, altre mostre itineranti, una su Comiso, una sull’ospedale psichiatrico, una sulla Sicilia in festa, una sulla città che crolla; finalmente le fotografie potevano essere presentate in un contesto di informazione organica e rigorosa e non frantumate qua e là nelle pagine dei giornali del mondo intero, dove però la loro funzione era quasi sempre quella di appoggiare articoli sensazionalistici quando non francamente bugiardi e infami.
In dieci anni abbiamo fotografato più di 600 omicidi, abbiamo avuto paura, siamo stati minacciati, aggrediti, percossi, abbiamo cercato di dare un senso politico e sociale al nostro lavoro, abbiamo creato spazi di informazione autonomi, abbiamo persino rifiutato alcune proposte di pubblicare libri di foto sulla mafia dato che non ci convinceva il contesto e l’uso che ne avrebbero fatto gli editori.
In questi dieci anni la mia vita è notevolmente cambiata: io, milanese trapiantato in Sicilia, di questa terra amo raccontare il sorriso e l’allegria, i giovani e la vita, la festa, lo spirito religioso e la civiltà.
Forse nessun giornale ne è interessato, nessun editore vuole farne un libro, eppure mi è necessario allontanare l’occhio dalle vittime della violenza mafiosa, dalla barbarie di un potere che si impone col sopruso e con la sopraffazione; c’è il rischio di diventare cinicamente insensibili al dolore e alla tragedia, voglio poter incontrare uomini onesti e genuini e respirare con loro aria di libertà.

Franco Zecchin, la biografia

La musique, comme la photographie, le théâtre et les autres expressions “artistiques”, sont pour moi une recherche d’harmonie entre forme et contenu. Mais avant tout, elles sont des actes de création qui nous rapprochent à nos racines humaines, et c’est à ce niveau qu’elles peuvent nous é-mouvoir, nous faire bouger des certitudes acquises, à la recherche d’un ordre sous-jacent à la nature a-causale des phénomènes. F. Zecchin, Paris mai 2005

élève de Grotowski au théâtre et photographe autodidacte, Franco Zecchin est devenu une figure incontournable du photoreportage. Né à Milan, il a choisi de s’établir à Paris, qu’il traverse en souplesse avec sa trottinette. Calme, rapide, agile, ce photographe est un seigneur. Son allure reflète une présence au monde des plus avisée. Les histoires qu’il nous raconte en maître du documentaire social comme les thèmes de vie qu’il traite dans des séries moins journalistiques, sont tissées d’images saisissantes que nous avons tous en mémoire.

1953: born in Milano. He lives in Paris.
1972: after he graduated on nuclear physic, he made his first theatre experiences as actor. One year later, he spent seven months in Africa, where he started to be photographer.
1974: he met Letizia Battaglia in Venice, during a workshop of the polish theatre director Grotowsky.
1975: he moved to Palermo where he became professional photographer for the daily newspaper “L’Ora” until 1988, taking pictures about Mafia, political corruption and misery social conditions.
1977: with Letizia Battaglia, he founded a Cultural Centre for Photography and the Sicilian Documentation Centre against Mafia “G. Impastato”. He also makes theatre and movies into the psychiatric asylum of Palermo.
1983: exhibition in Amsterdam and London.
1984: many reportages abroad, particularly on East Europe.
1986: exhibition in Boston and Rochester.
1987: he became director of the monthly culture and politics magazine “Grandevù”.
1988: he had been associated to Magnum Photos Agency. He won the International Journalism Price “Città di Trento”. Exhibition in Strasbourg.
1989: the french “Centre National de la Photographie” published the book “Chroniques Siciliennes”. Exhibition in Paris “Palais de Tokyo” with his work against Mafia.
1990: in Silesia, Poland, he spent four months, working on the personal project : “Pollution and public health in the Katowice region”. Exhibition in Houston.
1991: during the Gulf War he was working in Algeria, Morocco and Tunisia. He left Magnum and on november, he started the new project “Nomads Today” with the Touaregs in the Sahara desert.
1992: he published a series of reportages on “Against Mafia news fighters” for Zurich’s Das Magazin , Hamburg’s Geo Magazine , Newsweek International and Sunday Times Magazine. He worked in North Ireland for french Elle and he travels in Iceland and Czechoslovakia for personal projects.
1993: nomads project continue with the Vezos, on the north-west coast of Madagascar and with the Maures in Mauretania. He moved to Paris.
1994: with the Moken in Thailand, to Mongolia and with the Beduins in Giordan.
1995: Cameroon (Baka Pygmees) and Québec (Innu). Exhibition “Black and white Sicily” in Bastia and Tourcoing (France). Some pictures are also exhibited in Bradford National Museum and in the “Biennale” of Venice.
1996: nomads project: Yakutia, Siberia (Evénes) and Tanzania (Barabaig). Exhibition on children in Florence (Italy).
1997: project on Easter in South Italy. Traveling exhibition “Kid Size” by Vitra Design Museum, from Rotterdam to Copenhagen, Oslo, Weimar, Glasgow.. Exhibition “Nomads” in Palermo
1998: publication of the book “Nomades” in Paris (Editions de la Martiniére). Exhibition in “Photokina” of Köln and “La Sicile en révolte” during the “Mois de la Photo” in Paris. He publish a calendar on the theme of sleeping.
1999: project on popular religion traditions in Lucania (Italy). Exhibition at the International Festival of Arles, at the Festival Chroniques Nomades of Honfleur and at the Galerie Photo of Montpellier.
2000: he win the “Humanity photo Award” in Beijing (China). Shooting the Garos of Meghalaya (North-East India) in November for French Geo.
2001: personal exhibition at the “Centre Andaluz de la Fotografia”, Almeria, Spain. “Monaco” and “Islam in France” on assignement for National Geographic.
2002: personal exhibition at the “Photosynkyria” International Festival in Thessaloniki, Greece. Publication in the book:”Jour de Noces”, Seuil, Paris.
2003: personal exhibition at “Labirinti di Luce”, Padua, Italie.
2004: “Sicilian Chronicles”, Australian Centre for Photography, Sydney.
2005: “Cavalieri della Mongolia”, Festival Internazionale, Roma and Su Palatu, Villanova Monteleone.
2006: “Dovere di Cronaca”, Festival Internazionale, Roma; book published by Peliti.

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