Notturno Libri

Il terrore logora e l’arte crolla

Francesco Tomatis

Ground Zero

Il filosofo spagnolo Félix Duque lancia la provocazione: l’immaginario occidentale è stato sepolto a Ground Zero. Colpa del suo sguardo nichilista

L’arte contemporanea si è sempre più avvicinata all’orrido, allo spaventevole, al ripugnante. Per farcene capire, magari paradossalmente, il senso, fosse anche quello della vanità dell’esistenza e della inutilità del bello e del bene. è il nichilismo debole, edulcorato, caratterizzante l’età cosiddetta postmoderna, in cui sembra possano rifluire in una palude indifferenziata tutte le forme del passato, tutte vere e false al tempo stesso.
Ma sarà ancora capace, se non l’arte di un’epoca almeno qualche geniale artista, di rappresentare il terrore puro? Theodor W. Adorno si chiese se fosse ancora possibile pensare, dopo Auschwitz. Félix Duque, il maggior filosofo spagnolo vivente, meno noto in Italia del penultimo americano o del minore dei francesi, si chiede oggi se sia ancora possibile fare arte, dopo l’11 settembre.

In un agile, pungente, illuminante libretto uscito da Ets, Terrore oltre il postmoderno. Per una filosofia del terrorismo, Duque rileva l’incapacità dell’arte di rappresentare il terrore, proprio perché troppo anestetizzata dall’assuefazione postmoderna all’orrore, dalla sua banalizzazione delle differenze, dall’oblio del dolore e della morte. Indicando tuttavia un momento attuale di trapasso e sospensione, ove un’epoca è finita ma la nuova ancora può assumere direzioni alternative.
L’età postmoderna può essere cronologicamente definita da due date precise, due diverse esplosioni. L’inizio il 15 luglio 1972, a San Louis, con l’esplosione controllata di un intero caseggiato costruito meno di vent’anni prima in stile funzionalista, di cui viene così “brillantemente” decretato il fallimento, in quanto inadatto, propriamente “non funzionale” per la vita quotidiana. La fine l’11 settembre 2001, con l’esplosione a New York di aerei dirottati contro le Twin Towers, ambiguo emblema della babelicità postmoderna.

“Significativamente, non c’è ancora una lettura artistica di un avvenimento così tremendo. è come se l’arte fosse ammutolita dinanzi al terrore. Gli è che si può combattere – simbolicamente, ovvio – la paura e l’orrore, ma non il terrore nudo e crudo, perché esso manda in cortocircuito ogni razionalità, perché in esso si compenetrano sublime e sinistro”. Anziché riuscire a volgere il terrore in funzione catartica, purificativa almeno moralmente, oppure come revulsivo profondo dell’inconscio ignorato e dell’ombra invisibile delle velleità e anche inanità moderne, postmoderne o ultraumanistiche, quand’anche dichiaratamente religiose o relativistiche, l’arte e più in generale la cultura attuale non sa che dire. Se non lasciar parlare i babelici superumanesimi di sempre, che si chiamino fondamentalisti o democratizzatori. Secondo Duque ciò è dovuto all’angoscia di fronte al nulla a cui ci conduce il terrore, tuttavia ignorata nella sua fonte razionale, sublime e spaesante assieme.

Infatti è proprio la stessa razionalità moderna e persino postmoderna, in forma ancora più efficace poiché velata, a compiersi in un processo di autoannichilazione. Tuttavia finché si cerchi di riaffermare sempre la superiorità dell’uomo su tutto: natura, altri, Dio…, la vera alterità, l’autentico dolore, l’Altro che ci costituisce al grado zero, nudo di noi stessi non può che apparire sotto l’artistica menzogna dell’orrore, spaventevole ma solo al fine già predeterminato della riaffermazione piatta di sé. Emblematico – a mio parere – è il caso della ridestinazione di Ground Zero, il livello zero del terrore, nel senso sia della devastazione totale sia della innominabilità.
Quale occasione migliore – ovviamente, peggiore fra il peggio che potesse capitare – per l’arte, l’architettura, la politica pensante, di rappresentare l’irrappresentabile, attraverso la semplice esposizione, la non-velatura, la non ristrutturazione o ridestinazione, della mera presenza del vuoto? Difficile esprimere altrettanto bene i minimamente residuali segni della devastazione terroristica, il lato tremendamente serio del nichilismo attuale. Invece l’horror vacui, la coazione a ripetere, l’incomprensione del terrore vogliono riproporre una nuova torre di Babele – magari che provi ancora oltre a toccare il cielo e allontani ipocritamente la morte in maniera più perfettamente razionale.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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