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Il nuovo libro di memorie di Bono rivela le minacce dell’IRA, dei gangster di Dublino e dell’estrema destra statunitense

Il musicista dublinese ha parlato del suo nuovo libro di memorie, Surrender: 40 Songs, One Story, per la prima volta al Cheltenham Literature Festival ieri sera

 

Il frontman degli U2 Bono ha rivelato che nel corso della sua carriera è stato minacciato dall’IRA, dai mafiosi di Dublino e dall’estrema destra statunitense. Il musicista irlandese le racconta tutte e tre nel suo prossimo libro di memorie, di cui ha parlato per la prima volta ieri sera al Cheltenham Literature Festival. Surrender: 40 Songs, One Story narra la vita del cantante, dagli esordi a Dublino al raggiungimento della fama internazionale con gli U2, fino a diventare un importante attivista per i diritti umani. Il libro sarà pubblicato dalla casa editrice Penguin Random House martedì 1 novembre. Bono – il cui vero nome è Paul Hewson – afferma che alcuni personaggi, tra cui l’ex leader dello Sinn Féin Gerry Adams, hanno criticato fortemente la posizione pro-pace della band, scatenando la rabbia nei suoi confronti. Nel suo nuovo libro di memorie, come riporta il Times, Hewson racconta che Adams gli disse che “puzzava” a causa della percezione che “l’opposizione degli U2 ai paramilitari (di ogni tipo) era costata all’IRA una preziosa raccolta di fondi negli Stati Uniti”. Gli uomini dei reparti speciali dissero anche alla star che sua moglie aveva più probabilità di essere presa di mira da qualsiasi azione rispetto a lui, cosa che lui dice di prendere “male” ancora oggi nel nuovo libro. Il libro di memorie, di prossima pubblicazione, ricorda anche la scioccante scoperta del cantante, negli anni Novanta, che un “famoso capo della malavita di Dublino stava progettando di rapire [le sue figlie]” e che “le persone avevano ispezionato le nostre case per diversi mesi e sviluppato un piano elaborato”.

Minaccia in Arizona
Un altro momento trattato è un incidente avvenuto negli anni ’80, quando gli U2 dovevano suonare in Arizona e parlarono contro l’opposizione del governatore a una giornata commemorativa per Martin Luther King. La canzone Pride (In the Name of Love), pubblicata nel 1984, parla della morte dell’attivista per i diritti civili. Bono ha raccontato ieri sera al pubblico del festival del libro che “la minaccia specifica era che se Bono avesse cantato la strofa sull’assassinio di King non sarebbe arrivato alla fine della canzone”. Ha detto ai partecipanti al festival di aver “fatto il messianico con me stesso” al concerto in Arizona e di essersi inginocchiato a metà per cantare la strofa: “Squilli nel cielo di Memphis, finalmente libero, ti hanno preso la vita, non hanno potuto prendere il tuo orgoglio. Poi ho capito la gravità della situazione e ho chiuso gli occhi. Era una possibilità remota, ma non si sa mai”, ha aggiunto. Bono ha poi scoperto che Adam Clayton, il bassista degli U2, era rimasto in piedi, protettivo, davanti a lui per tutta la durata della canzone, ha svelato ai partecipanti al festival.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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