Free State
Il desiderio di cambiare della giovane Irlanda oggi alle urne
L’Irlanda è il paese con la popolazione più giovane dell’Unione europea e l’unico che non ha mai avuto un governo di sinistra. Le elezioni di oggi sull’isola sono le terze dal drammatico crollo finanziario del 2008 e per molti versi incarnano la ricaduta politica dall’arrivo nel 2010 della turbo flebo del Fondo Monetario (FMI) che è ancora in corso. Le elezioni del 2011 hanno visto l’annullamento quasi totale dei sovranocentristi del Fianna Fáil, che era stato il più grande partito in ogni parlamento irlandese fin dagli anni ’30. Al loro posto è arrivato il Fine Gael di centrodestra, i cui cinque anni di austerità hanno portato a perdite elettorali nel 2016 e un modesto rimbalzo per il Fianna Fáil. Quell’inconveniente elezione ha portato a una novità in Irlanda: un accordo di fiducia e offerta in cui, in cambio di concessioni politiche, il Fianna Fáil si è astenuto dai principali voti parlamentari e ha permesso al Fine Gael di governare con un piccolo gruppo di legislatori. Quell’accordo sarebbe dovuto durare solo 2 anni e mezzo, ma è durato per quasi quattro, solo a causa della Brexit, dove l’elefante nella stanza è un ancora possibile confine fisico con l’Irlanda del Nord se l’opzione marittima non funzionasse. Brexit a parte, ci sono seri problemi domestici. L’edilizia abitativa si è fermata durante la crisi finanziaria, portando a registrare impennate nei prezzi degli immobili e degli affitti e il numero dei senzatetto (quasi 10.000 erano senza una casa permanente a dicembre 2019). Allo stesso tempo, il settore sanitario irlandese sta cigolando: nel dicembre 2019 è stato registrato anche un record assoluto nel sovraffollamento ospedaliero, con nuovi record per i pazienti in attesa di cure su barelle al posto di un letto permanente. In qualsiasi momento della giornata, ci sono dozzine di pazienti nei reparti di emergenza degli ospedali irlandesi che sono stati per oltre 24 ore in attesa di ricovero. È in questo contesto che il partito nazionalista Sinn Féin è improvvisamente apparso nella contesa. L’ultimo sondaggio d’opinione nazionale all’inizio di questa settimana ha dato al partito una quota del 25% dei voti, contro il 23% per il Fianna Fáil e il 20% al Fine Gael. In un certo senso, questo nuovo scenario non è sorprendente. Sondaggio dopo sondaggio, prende forma la conferma che c’è un evidente appetito per il cambiamento e l’insoddisfazione per l’amministrazione uscente del primo ministro, Leo Varadkar. Sono quegli elettori della terra di mezzo che ora cercano alternative. Lo Sinn Féin ha abbracciato con entusiasmo una piattaforma socialmente liberale, perdendo alcuni sostenitori conservatori ma ha ottenuto consensi grazie alle sue posizioni sul matrimonio gay e sull’aborto (una posizione che, di fronte all’opposizione del Partito Democratico Unionista (DUP), ha contribuito alla sospensione triennale della devolution nordirlandese). Ciò a sua volta l’ha resa un’opzione più praticabile per gli elettori di sinistra. La stessa Brexit potrebbe essere diventata la tempesta perfetta per lo Sinn Féin: non solo ha guardato i due più grandi partiti divorarsi in un prolungato e problematico matrimonio finito a stracci con la bizzarra pantomima della commemorazione della RIC il mese scorso, ma ha anche lasciato la prospettiva di un’Irlanda unita molto meno remota. Gli elettori nordirlandesi hanno scelto di rimanere nel referendum del 2016, ma ora sono comunque fuori dall’UE. Di fronte alla scelta tra due unionismi – il Regno Unito o l’UE – molti a nord del confine sceglierebbero l’unità con l’Irlanda. L’unità è la ragion d’essere dello Sinn Féin; già condividendo il potere a Belfast, il partito promette di avviare un referendum sull’unità entro cinque anni se acquisirà il controllo a Dublino. Tuttavia, l’appetito elettorale della Repubblica per un ampio reinserimento non è così evidente. La difficile storia dell’Irlanda del Nord rimane infatti un fattore complicante per lo Sinn Féin. La leadership di Mary Lou McDonald, una Dubliner che ha sostituito il veterano leader di Belfast Gerry Adams nel 2018, ha dato al partito un restyling e lo ha aiutato a perdere la precedente etichetta di “ala politica dell’esercito repubblicano irlandese (IRA)”. Ma i postumi di una sbornia dalla violenza paramilitare rimangono; gli elettori più anziani con ricordi più chiari della violenza nelle Sei Contee sono più riluttanti a perdonare le giustificazioni dell’IRA dalla voce dello Sinn Féin e degli ex provos, che i due partiti, FF e FG, citano come motivi per escluderlo in qualsiasi coalizione. Allo stesso modo, il partito affronta le accuse di cambiare posizione per seguire l’umore pubblico. Ha abbracciato vocalmente il sostegno di Bruxelles nella protezione degli interessi dell’Irlanda del Nord dopo la Brexit, ma si è opposto a ciascuno dei precedenti trattati dell’UE e ha fatto una campagna contro il club Europa nei precedenti referendum. Ora accoglie le imprese straniere in Irlanda (una volta tassate in modo appropriato) ma in precedenza aveva richiesto un aumento della sua generosa aliquota d’imposta sulle società del 12,5%. Era stato un rimbombante promoter del referendum sull’aborto del 2018, ma solo dopo che la cucina degli Ard Fheis a deciso di cambiare ricetta della sua politica tre volte nei quattro anni precedenti. Ironia della sorte, l’ascesa meteorica del partito ha sorpreso persino se stesso: sta schierando solo 42 candidati per occupare i 160 seggi parlamentari Dáil Éireann e il suo successo, a spese di altri partiti di sinistra, potrebbe rendere impossibile la costruzione di un blocco governativo. Nel frattempo, la meccanica del sistema elettorale irlandese – in cui 39 collegi eleggono tra tre e cinque legislatori ciascuno, attraverso un singolo voto trasferibile – potrebbe ancora vedere il Fianna Fáil tornare con un massimo di 60 membri del parlamento, nonostante una quota minore del voto popolare. Ciononostante, lo Sinn Féin è ora pronto a rifondere la dinamica politica irlandese e installarsi come terzo grande partito in quello che è stato storicamente un sistema bipartitico. La sua rappresentanza parlamentare potrebbe essere più piccola di quanto possa riflettere la sua popolarità, ma potrebbe essere sufficiente a farsi strada in una coalizione grazie al vigore dei backbenchers nel Fianna Fáil. Sia al governo che all’opposizione, il 2020 saranno le elezioni che vedranno lo Sinn Féin rompere fondamentalmente gli schemi della politica nelle 26 Contee e con se stesso, sottraendosi dall’omertà di ingombranti ex provo e dal suo presunto deficit democratico.