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Bene, io non esisto

Rita Portoghese

Bene, io non esisto!

“Devo rovinare il teatro, non solo quello italiano, tutto. E per fare questo devo rovinare me stesso.”

Carmelo BeneDescrivere il genio, o inquadrare l’uomo in un personaggio con lui sarebbe impossibile. Attore, regista, scrittore, filosofo e uomo di spettacolo poliedrico come pochi e camaleontico al tempo stesso, Carmelo Bene, tutto questo ma soprattutto un uomo.
Se si volesse cercare di sintetizzare in poche parole ciò che è stato, mi piacerebbe raccontarlo come un uomo disumanamente umano, e per questo fuori dal mondo. Ma lui non ne sarebbe felice, Carmelo Bene ha sempre affermato: “Io non esisto!” con tutto quello che vuol dire.
“Io non esisto” affermava eppure come spiegare tutta l’attenzione e i fari puntati sulla sua figura?
Era la voce fuori dal coro, l’urlo di chi non ci sta, contraddizione e incoerenza allo stato puro… ma era soprattutto “la Voce”.
La voce non del “detto” ma di chi “dice”, era dentro il discorso in quanto trascinato dalla “falsa cartolina” del ‘900 che ci pone di fronte alla necessità del dire per sentirci vivi, e nel momento in cui crediamo di dire siamo noi ad esser detti in quanto il discorso non ci appartiene, non appartiene all’uomo.
Figura enigmatica e a tratti illeggibile Carmelo Bene ha portato questa sua filosofia in scena a teatro. Ed ecco il suo tanto criticato “massacro” dei testi classici. Aveva una concezione tutta personale del teatro e dell’attore. Sul palco non semplici mimesi e re-citazioni di testi a monte ma interpretazione, c’era nel teatro di Bene un liberarsi dal peso corporeo di essere umano per trascendere, per liberarsi e ritrovare nel teatro, in quelle parole già dette e ridette da altri una propria emozione. Un’ emozione però al tempo stesso indicibile: “Lo spettatore dovrebbe non poter raccontare mai ciò che ha veduto”.
Egli voleva tirarsi fuori dall'”identità scorreggiona del teatrino occidentale patronale, del testo a monte, prosternato davanti alla morale del senso alla strisciante servilissima venerazione dei ruoli”. Bene distrugge l’IO sulla scena. Questo il suo concetto di “macchina attoriale”. Se potessimo usare una metafora, la rappresentazione nel momento in cui venga messa in atto sarebbe paragonabile ad un foglio scritto a penna le cui parole vengano via lentamente e viaggino libere nell’aria fino a non lasciare più niente di già scritto, di già detto alla fine del tutto.
Il “non esserci” era indispensabile per Bene, credeva in questo e credeva che tutto ciò fosse possibile solo riuscendo ad ammettere che l’io dell’uomo ha creato Dio, e non viceversa.
Carmelo BeneFortemente nichilista e a tratti tacciato d’esser fascista per la sua critica alla democrazia che riteneva fasulla in quanto permette l’illusione della libertà e per l’intolleranza nei confronti di tutti gli uomini era al tempo stesso un uomo che infarciva tutti i suoi discorsi di citazioni, criticava l’arte in quanto “borghese” e la cultura in quanto opera dello Stato, ma ne faceva parte e voleva esserci, con tutti i ma e i se del caso.
Voleva non esser considerato, voleva non gli si prestasse attenzione, ma al centro della scena c’era sempre. E nei modi più improbabili. Esistono leggende che lo vedono protagonista in situazioni piuttosto sconvenienti. Si ricorda una delle sue prime rappresentazioni teatrali durante la quale addirittura uno dei suoi attori abbia orinato su di uno spettatore. Non voleva piacere alla gente, non cercava approvazione, non voleva uniformarsi alle richieste del pubblico borghese. La coerenza: “Non la voglio, ve la spunto in faccia!”.
Un uomo dalla forte personalità, ma non per questo un insensibile. Forse sentiva troppo, troppo forte il peso dell’esser fuori dal comune, lui che credeva che l’uomo non debba creare capolavori, ma essere “capolavoro”. Il suo era un teatro “pornografico” come egli stesso lo apostrofava, inteso come mescolanza e unione tra enti, in una dissoluzione dell’io e passaggio alla dimensione dell’oggetto carnale che è il corpo umano.
Criticato spesso per esser finito nelle cronache italiane per motivi personali, quali le aggressioni nei confronti di una delle sue due mogli, ha sempre controbattuto questi attacchi affermando che la stampa è fasulla, che i giornali non “informano” sui fatti , ma li creano.
Personalità molto chiusa e riservata, così racconta di lui chi lo ha conosciuto sin dal principio, educazione severa quella impartitegli alla quale sembra essersi ribellato intorno ai vent’anni quando decise di abbandonare l’Accademia delle arti dopo solo un anno di frequentazione perché ritenuta inutile.
Carmelo Bene in AdelchiScelte di vita che lo avvicineranno molto a personaggi del calibro di Dario Fo, Eduardo e Pasolini con i quali ha portato avanti anche rivolte giovanili poco più che ventenni, contro il Ministero del Turismo e delle Arti. Ma soprattutto lo hanno avvicinato a filosofi quali Nietsche, Lacan, De Saussure, Derrida e Aristotele.
La sua carriera artistica comincerà nel 1959 con la rappresentazione di Caligola di Albert Camus.
Battezzato enfant terribile della cultura italiana nei primi anni ’60 fonda il Teatro Laboratorio presentando la sua versione di classici quali Amleto, Faust, Don Chisciotte.
Si avvicinerà al “Teatro della crudeltà” di Artaud seguendone il filone antiborghese e antinarrativo e nasceranno così “Il Monaco” e “Nostra signora dei turchi” di cui firmerà anche la regia e che vincerà il Premio Speciale della giuria al Festival di Venezia nel ’68. Si Avvicinerà al cinema al fianco di Pasolini interpretando Creonte in Edipo Re. Il Don Chisciotte, La Cena delle Beffe (con Gigi Proietti) e S.A.D.E. contribuiscono ad avvolgere Bene in un ‘aurea maligna e leggendaria. Lo strano caso del dott. Jekill e del Sig. Hide, Gregorio, Salomè, Il Rosa e il Nero, lo consacreranno poi a livello nazionale.
Negli anni ’80 è oramai un mito in Francia oltre che un guru grazie alla santificazione di Gilles Deleuze e i suoi spettacoli da semplici reinterpetazioni di classici iniziano ad incentrarsi sulla sua persona. Di qui il via al “Manfred” con orchestra dal vivo, i remake di Amleto e Macbeth, le autocitazioni in “Pinocchio” e “Nostra signora dei turchi”, infine i recital con amplificazioni da concerto rock, tra le più famose si ricorda la lectura Dantis a Bologna dalla Torre degli Asinelli in occasione del primo anniversario delle stragi di Bologna.
Due matrimoni alle spalle, un tumore che cominciava a mangiarlo dentro lo portarono ad allontanarsi dalle scene per: “disoccuparsi di sé” come dirà lui stesso.
Carmelo BeneMemorabile nel ’94 la puntata del Maurizio Costanzo Show che lo vide come protagonista solo contro tutti gli “zombie” come lui li chiamava. “è con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti” questa la frase d’esordio della puntata.
Nel 1995 torna sotto i riflettori con la sua opera “omnia” nella collana dei Classici Bompiani, cui farà seguire nel 2000 il poemetto “l mal de’ fiori”.
Carmelo Bene muore a Roma il 16 marzo 2002. Il suo funerale non fu pubblico come egli voleva.
La morte fu il suo ultimo spettacolo, come aveva predetto. Il giorno del funerale durante le celebrazioni, tra il dolore dei pochi cari e di Luisa Vignetti (sua compagna negli ultimi anni di vita), entrano “in scena” Raffaella Baracchi e la figlia Salomè (protagoniste della vicenda che vide Bene accusato di percosse) con tanto di avvocato scatenando così la rissa.
Per un uomo che abbia sempre affermato di non esser mai nato, è difficile credere che possa poi scomparire così comunemente. I diritti delle sue opere verranno poi affidati a L’immemoriale di Carmelo Bene fondazione nominata sua erede.
Affabulatore, presuntuoso oppure genio, come direbbe egli stesso: “ci si dà del tu nell’illusione dell’esserci” ma se non si è mai stati, diventa anche più facile e meno doloroso ricordarlo come un incredibile giullare capace di prendere a calci la vita e perché no, anche se stesso. E forse è proprio così che avrebbe voluto esser ricordato.

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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