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Henry Hill: Come potrebbe essere un accordo del Protocollo che soddisfi il DUP e l’ERG senza insistere sulla perfezione

Questa mattina, Stephen Booth analizza come potrebbe essere un accordo tra il Regno Unito e l’Unione Europea sulla riforma del Protocollo nordirlandese. In precedenza, avevo suggerito che un accordo che evitasse le difficili questioni di governance che assillano gli Unionisti Democratici e il Gruppo di Ricerca Europeo non avrebbe permesso di rimettere in funzione Stormont; il nostro editore aveva suggerito che, se fosse stato possibile, avrebbe potuto essere l’opzione preferita da Rishi Sunak. Siamo ancora in attesa della forma effettiva dell’accordo, che a quanto pare è in attesa dell’approvazione del Numero Dieci. Ma nell’attesa, vale la pena considerare la domanda: che tipo di accordo dovrebbero accettare l’ERG e il DUP? I due punti più salienti sono questi. In primo luogo, Booth ha perfettamente ragione sul fatto che “nessun compromesso sarà perfetto”; ci sono molti potenziali vantaggi per il Regno Unito nei negoziati, e c’è il rischio concreto di perderli insistendo su un risultato ideale fin dall’inizio. In secondo luogo, il DUP sa che Stormont è la sua migliore merce di scambio e che probabilmente potrà giocarsela solo una volta. Il loro abbandono, unito alla pressione creata dall’incombente 25° anniversario dell’Accordo di Belfast, spiega perché le loro preoccupazioni siano improvvisamente prese sul serio dal tipo di persone che nel 2017 pensavano che Theresa May avrebbe dovuto, come ha riferito Tony Connelly per RTÉ nel 2017:

“… fare una cosa coraggiosa e rischiosa, e dire al DUP: ascoltate ragazzi, non avete comunque nessun altro posto dove andare, quindi questo è quello che succederà?”.

Questa citazione dovrebbe essere stampata e attaccata al monitor di chiunque ipotizzi il motivo per cui il DUP si ostina a voler tornare all’Assemblea – insieme ai suoi sondaggi, almeno. Quindi la domanda è: quale tipo di risultato potrebbe raggiungere il punto giusto: realizzabile ora, ma che valga la pena per Sir Jeffrey Donaldson di incassare la sua più preziosa merce di scambio? Una risposta che mi è stata suggerita questa settimana è: qualsiasi cosa che garantisca un vero e proprio regime di doppi standard nell’Irlanda del Nord e che metta a repentaglio i principi fondamentali del mercato unico nella provincia. La logica è questa. Attualmente, anche se il Protocollo venisse applicato correttamente – e non lo è mai stato e non lo sarà mai – rappresenta comunque una frammentazione del mercato unico completo, che dovrebbe coprire beni, servizi, capitali e lavoro; l’Ulster fa parte del mercato unico solo per i beni. Sebbene non sia affatto perfettamente formato – la Gran Bretagna è stata spesso frustrata dalla lentezza dello sviluppo del mercato unico dei servizi, ad esempio – non è previsto che venga spezzettato in questo modo; ne sono testimonianza gli infelici sforzi di David Cameron per negoziare un accordo che, dal punto di vista di Bruxelles, avrebbe potuto minare il mercato unico del lavoro limitando la libertà di movimento. Dal punto di vista dell’UE, quindi, lo status quo è problematico e lo diventerà tanto più quanto più eccezionale sarà la situazione dell’Irlanda del Nord. È più difficile invocare la natura inviolabile delle istituzioni europee a Paesi come la Polonia, che potrebbero chiedere accordi speciali in materia giudiziaria, quando esiste un controesempio di alto profilo. Tornando ai negoziati in corso, l’UE ha apparentemente concesso il principio che le merci provenienti dal continente che entrano in Irlanda del Nord e vi rimangono debbano essere trattate in modo diverso da quelle che proseguono verso il mercato unico vero e proprio. Questa concessione è stata facilitata dalle prove accumulate che l’effettiva infiltrazione di tali merci attraverso il confine è bassa; Londra può anche sottolineare che ampie parti del Protocollo non sono mai state attuate, e se ciò avesse causato pericolose distorsioni nel mercato unico le avremmo già viste. Ecco quindi l’idea delle corsie rosse e delle corsie verdi. Questa idea non garantisce a Donaldson e ai suoi alleati un accordo degno di essere accettato, ma potrebbe. Una versione de minimis, che crei delle eccezioni statiche per una serie fissa di merci problematiche, non ne varrebbe la pena. L’Irlanda del Nord rimarrebbe soggetta a un corpus legislativo sempre più vasto, sul quale non avrebbe alcun apporto politico, la cui funzione sarebbe quella di disallineare gradualmente la sua economia da quella del resto del Paese. Ma immaginate invece una versione come quella che ho delineato lunedì scorso: Regolamenti dell’UE (con la supervisione della Corte di Giustizia) che si applicano solo alle imprese che esportano nel mercato unico; un commercio senza restrizioni tra l’Ulster e il continente, con un’applicazione dei regolamenti basata sui dati per i casi problematici; e le imprese locali soggette alla legge britannica per impostazione predefinita (non da ultimo per poter competere in modo equo con i concorrenti del continente). Questo sarebbe ovviamente l’ideale, radicato com’è nella capitolazione dell’era May sull’idea che l’accordo di Belfast non richiedesse in qualche modo alcun cambiamento nel commercio nord-sud. Ma risolverebbe adeguatamente i problemi di governance e di commercio est-ovest e impedirebbe il graduale allontanamento dell’economia dell’Ulster da quella della Gran Bretagna. (In particolare, l’unico modo in cui un accordo di questo tipo potrebbe funzionare è se si disponesse di dati granulari che consentano interventi mirati e un approccio non vincolante alla frontiera; l’abbattimento di tali accordi sui dati per motivi di sovranità è un modo in cui l’ERG e il DUP potrebbero rendere il perfetto nemico del buono).

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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