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Legge sul protocollo “per necessità”

È ovvio il motivo per cui il Protocollo è un anatema per coloro che cercano di eliminare dal Regno Unito tutte le vestigia dell’appartenenza all’UE. Forse meno ovvio è il motivo per cui se ne sono accorti solo relativamente di recente. La posizione giuridica del governo è che “il pericolo che è emerso non era inerente alle disposizioni del Protocollo”, ma che ora “le questioni che danno origine alla situazione di necessità [di ignorare gli obblighi previsti dal Protocollo] devono essere affrontate con urgenza”. Secondo il Ministro degli Esteri (Liz Truss nella foto in alto), il disegno di legge sul Protocollo dell’Irlanda del Nord apporta “le modifiche necessarie per ripristinare la stabilità e garantire la tutela del delicato equilibrio dell’Accordo di Belfast (Venerdì Santo)”. Ma è davvero così?

52 dei 90 deputati nordirlandesi condannano l’azione unilaterale del Regno Unito sul Protocollo come “assolutamente sconsiderata”. Per la maggior parte degli elettori nordirlandesi, il Protocollo si colloca al di sotto dell’assistenza sanitaria, dell’economia e dello status costituzionale dell’Irlanda del Nord come questione di preoccupazione; infatti il 44% lo colloca tra le tre questioni (su 10) di minor interesse. Ma l’attenzione del governo si concentra solo su 25 MLA: quelli del Partito Unionista Democratico.

Il 69% dei sostenitori del DUP pone il Protocollo tra le prime tre preoccupazioni (rispetto al 40% dei sostenitori dell’UUP). Il 92% degli elettori del DUP ritiene che il partito abbia ragione a non voler tornare a Stormont senza almeno importanti modifiche al Protocollo. Il DUP ha un ruolo da protagonista in questo dramma, spinto nella sua dura posizione da una coorte di ultras unionisti il cui desiderio, appena celato, è quello di vedere l’Accordo del 1998 completamente scomparso. Il rifiuto del DUP di nominare un presidente per consentire all’Assemblea di riunirsi, o un vice primo ministro per consentire la formazione di un nuovo esecutivo, o un ministro per partecipare alle riunioni del Consiglio ministeriale Nord/Sud, viene usato come prova della “tensione che gli accordi previsti dal Protocollo stanno esercitando sulle istituzioni dell’Irlanda del Nord”.

È su queste basi che il governo britannico sta cercando di smantellare il Protocollo. È come dire al vicino di casa: “A mio figlio piace rompere le cose e a me piace dargli delle pietre, quindi l’unica cosa da fare è togliere tutti i vetri dalle tue finestre”.

Il disegno di legge sul Protocollo dell’Irlanda del Nord si propone di escludere alcune disposizioni del Protocollo con un tale gusto che è molto più semplice dire cosa viene lasciato in piedi piuttosto che cosa viene tolto. Rimangono l’articolo 2 sulla non riduzione dei diritti, l’articolo 3 sulla Common Travel Area e l’articolo 11 sulla cooperazione Nord/Sud, ma è importante notare che gli articoli 2 e 3 sono già stati messi in dubbio da altre recenti proposte di legge e che l’effettiva capacità dell’articolo 11 è fortemente limitata. Altri articoli sono messi a dura prova da questo disegno di legge, come l’articolo 9 sul mercato unico dell’elettricità. La clausola 2 del disegno di legge rielabora la sezione 7a della legge sul recesso dall’UE (2018) in modo tale che, una volta entrata in vigore, vaste parti del Protocollo non avranno alcun effetto giuridico. La questione di ciò che sostituisce queste regole e diritti è lasciata preoccupantemente indeterminata. Le “soluzioni” proposte in un documento di accompagnamento non sono previste nel disegno di legge sul Protocollo dell’Irlanda del Nord, ad eccezione del doppio regime normativo.

Nella migliore delle ipotesi, si tratta di una decisione al posto di una decisione: offre alle imprese nordirlandesi l’opzione di scegliere “la conformità con un percorso normativo del Regno Unito o con il percorso normativo dell’UE (o entrambi)”. Una divertente strizzata d’occhio al “britannico, irlandese o entrambi” dell’Accordo del 1998, finché non ci si rende conto delle implicazioni fin troppo reali. Le imprese hanno espresso preoccupazione per la capacità amministrativa richiesta, per la complessità operativa e per il danno reputazionale che la NI subirebbe a causa di un tale regime. Se a ciò si aggiunge il rischio di un’etichettatura o una tracciabilità errata accidentale, per non parlare di quella intenzionale, il problema è chiaramente serio. In effetti, come per molte delle proposte dell’Unione Europea, la dicitura “[dettagli da definire]” dovrebbe essere apposta su gran parte delle proposte del Governo. Questo non fa che sottolineare la necessità di un impegno diretto e congiunto tra Regno Unito e Unione Europea con le imprese e le parti interessate per mettere sul tavolo i fatti: i problemi da risolvere e i benefici da proteggere. In assenza di tali dettagli, il disegno di legge conferisce ai ministri della Corona poteri onnipotenti per adottare “qualsiasi disposizione che il ministro ritenga opportuna…”. Come ha sottolineato la Hansard Society, questi regolamenti verranno emanati senza le garanzie del controllo e dell’approvazione parlamentare. Questo è l’ennesimo esempio di un disegno di legge legato alla Brexit che fa pendere l’ago della bilancia dei poteri a favore dell’esecutivo britannico e diminuisce la sovranità parlamentare. Tutto ciò è di cattivo auspicio per la costituzione del Regno Unito, a prescindere dal suo mercato interno. L’incertezza politica ed economica che l’Irlanda del Nord e il Regno Unito post-Brexit si trovano ad affrontare non fa che esacerbare questa mossa, soprattutto se l’UE utilizzerà tutte le sue misure di ritorsione. Forse è il caso di rassicurarci sul fatto che la preferenza più volte ribadita dal Governo è per “una soluzione negoziata”. Questo è un chiaro punto in comune con l’UE. Piuttosto che accumulare i detriti di un purismo delirante o di una provocazione politica, entrambe le parti devono chiedersi come potrebbero – per forza di cose – spianare la strada per tornare al tavolo.

Let

Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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