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Gordon Brown attacca Boris Johnson e avverte: il Regno Unito è a rischio

Mentre i nazionalisti scozzesi denunciano che la Brexit metta a rischio scambi commerciali con l’UE per un valore di 14 miliardi di sterline e 200.000 posti di lavoro

Gordon Brown ha accusato Boris Johnson di essere “un nazionalista dogmatico e di strette vedute” che, se diventasse Primo Ministro, potrebbe causare la fine di 300 anni di Regno Unito. Come afferma l’ex Primo Ministro, complici la Brexit e la crescita dei nazionalismi, il Regno Unito è oggi più a rischio di quanto non lo sia mai stato nella sua storia, ivi compreso durante il Referendum per l’Indipendenza scozzese del 2014.

Il Regno Unito, avverte Gordon Brown, si trova tra l’incudine dell’SNP e il martello degli hard Brexiteers, e Boris Johnson “giocherebbe la carta inglese” per rinfocolare il nazionalismo inglese contro la Scozia qualora ciò aiutasse la sua carriera politica. E, durante un incontro organizzato dalla Società Fabiana (l’associazione da cui è nato il Partito Laburista) e da Hope not Hate, l’ex Premier laburista non ha usato mezzi termini: “Non facciamoci illusioni, stiamo combattendo una battaglia per l’esistenza stessa del Regno Unito, e con due opposte visioni in lotta fra di loro”.

Il dilemma, ha affermato, non è semplicemente quale Brexit sia più desiderabile, ma piuttosto quale sia il Paese che si vuole diventare. “Io ritengo che l’Unione sia più a rischio oggi di quanto non lo sia mai stata durante la sua storia”, ha dichiarato Gordon Brown, “e ciò vale anche per la dura campagna referendaria per l’indipendenza scozzese nel 2014. In particolare, voglio mettere in guardia contro la strumentalizzazione del sentimento patriottico da parte di chi, come Nigel Farage e Boris Johnson, trasformano un gesto palesemente autolesionista come un’uscita dall’Europa senza accordo come un atto patriottico”. La minaccia di non pagare una parte dei 39 milioni di sterline dell’accordo di uscita, secondo Gordon Brown, porterebbe a una guerra economica aperta con l’Unione Europea.

Il politico laburista punta il dito anche contro quanto Boris Johnson ha scritto sul ruolo della Scozia nel Regno Unito. “Ciò che per vent’anni Boris Johnson ha scritto su questo tema”, afferma l’ex Primo Ministro, “contraddice i tre pilastri istituzionali su cui è basato il Regno Unito attuale: la rappresentanza scozzese nel Parlamento britannico, la devolution scozzese e i finanziamenti alla Scozia. Per l’SNP, Boris Johnson è di fatto il miglior promotore dell’indipendenza scozzese, e non c’è da stupirsi se sono in pochi, in Scozia, a ritenere che l’unione sia al sicuro nelle sue mani. Molti, anzi, temono che Johnson possa mettere sul piatto l’unione, per incoscienza o in malafede, se ciò tornasse utile ai suoi fini elettorali. E, salvo qualora non lo escludesse apertamente, è quasi certo che Johnson verrà spinto dal suo stratega elettorale a giocare la carta inglese, infiammando il risentimento inglese contro la Scozia per ottenere i voti inglesi”.

Gordon Brown s’inasprisce anche contro la campagna per un nuovo referendum scozzese, affermando che i nazionalisti scozzesi chiedono oggi una separazione ben più marcata di quella proposta nel referendum del 2014. “I nazionalisti, ora, puntano a una sterlina scozzese distinta da quella britannica e a un abbandono in sordina di quell’unione doganale e di quel mercato unico britannico che per 300 anni ha consentito un commercio libero da tariffe e tensioni tra le nostre quattro nazioni, prevenendo ciò che ora sembra inevitabile: un confine fisico tra Inghilterra e Scozia lungo il Vallo di Adriano e un ritorno della logica del “noi contro loro”. Ma, proprio mentre i tre grandi partiti britannici dovrebbero mobilitarsi e lavorare insieme per promuovere la causa unionista nel modo più efficace possibile, coloro che dovrebbero difendere il Regno Unito sono sempre meno in evidenza. E, proprio quando il Partito Conservatore e Unionista dovrebbe tener fede al suo nome e presentarsi come il partito dell’unione contro il separatismo intransigente dell’SNP, il partito si è trasformato nel Partito Conservatore e della Brexit”.

Pur condannando l’ipotesi di uscita dall’UE senza accordo, però, Gordon Brown afferma che proprio la Brexit dimostra ome le nazioni del Regno Unito abbiano bisogno le une delle altre molto più di quanto ciascuna di queste abbia bisogno dell’Europa. “L’SNP afferma che la Brexit metta a rischio scambi commerciali con l’UE per un valore di 14 miliardi di sterline e i 200.000 posti di lavoro che dipendono dagli stessi”, afferma l’ex Primo Ministro. “Ma la Scozia ha un interscambio commerciale col resto del Regno Unito per un valore di 50 miliardi di sterline. Quanto maggiori sarebbero i rischi per il milione di posti di lavoro e per le migliaia di società che dipendono dagli scambi attraverso il confine scozzese? La Scozia dice di non poter tagliare i ponti con 40 anni di integrazione con l’Unione Europea per via dei conseguenti danni all’economia… ma quanto più dannoso sarebbe per l’economia scozzese tagliare i ponti con 300 anni di integrazione col resto del Regno Unito?”

“Essere uno Stato multinazionale ci ha reso più propensi alla giustizia e meno ai pregiudizi, più rispettosi della diversità e meno ostili verso le minoranze”, conclude Gordon Brown. “La somma di nazionalismo inglese, nazionalismo scozzese, nazionalismo gallese e nazionalismo nordirlandese non fanno un Regno Unito. Quattro nazioni unite solo dal nazionalismo non sosterranno un Regno Unito. Creeranno una famiglia divisa in partenza che non potrà sopravvivere a lungo. Ed è perciò necessario che chi sostiene la causa unionista in Scozia si ponga tra due estremismi divisivi, quello nazionalista e quello conservatore, che insieme rischiano di far saltare l’Unione”.

Un intervento, quello dell’ex Premier, non privo di riferimenti storici ad esperienze comuni ai popoli delle quattro nazioni, in particolare il recentemente commemorato Sbarco in Normandia durante il quale “soldati inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi hanno combattuto e sono morti fianco a fianco”. Ma la risposta dell’SNP non si è fatta attendere, che per via di un suo parlamentare ha definito l’intervento di Brown “fiacco” e “privo di contatto con la realtà”. Per il parlamentare, infatti, è il caos a Westminster a propugnare, più di ogni altra cosa, la causa indipendentista, mentre “gli interessi della Scozia possono essere tutelati soltanto diventando un Paese europeo sovrano e indipendente”. Di tutt’altro avviso l’ex Parlamentare laburista Pamela Nash, leader del movimento unionista Scotland in Union, che afferma che “il nazionalismo, a differenza del patriottismo, crea una società più divisa di quella a cui dobbiamo puntare” e che non manca di ribadire i rischi economici legati all’indipendenza scozzese già menzionati da Gordon Brown.

Giuseppe Cappelluti
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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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