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L’etnonazionalismo fiammingo e il processo confederalista belga

Il Belgio sopravviverà al suo bicentenario e oltre? Le difficoltà nel formare una maggioranza federale pongono la questione in modo drammatico e più che mai con le conseguenze sociali ed economiche della pandemia.

Nonostante i suoi problemi, nonostante tutto, il Paese resta un successo piuttosto eccezionale. In primo luogo, pochi belgi sono consapevoli della rara longevità della loro monarchia costituzionale. Molti saranno sorpresi di apprendere che in tutto il mondo sei paesi, appena di più, possono vantare regimi più sostenibili: Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca. Dall’indipendenza, nessuna dittatura, rivoluzione, guerra civile ha rovesciato la loro democrazia parlamentare. Questi quasi due secoli non sono stati ovviamente un lungo fiume calmo: due guerre mondiali, ma durante le quali il governo belga ha potuto operare in esilio, crisi reali e congolesi, riforme successive e spesso laboriose dello stato. Questa relativa stabilità non significava stagnazione, anzi: approfondimento della democrazia politica prima, sociale e culturale poi, in particolare con l’emancipazione linguistica delle Fiandre, sviluppo di un generoso welfare state, assenza di conflitto dall’integrazione europea. La prosperità ha accompagnato, se non reso possibile, questo progresso e rimane invidiabile nonostante tutto.

Allora perché l’orgoglio nazionale dei belgi è così poco all’altezza di questa valutazione positiva? Perché questo dubbio esistenziale sul futuro del Paese? Le radici storiche del problema sono ben note: lo stato unitario e unilingue del 1831 ha dato vita al nazionalismo fiammingo, ma quest’ultimo non è l’unica causa. Le riforme statali sono state effettivamente essenziali per soddisfare la richiesta di autonomia culturale delle Fiandre. Era anche importante porre rimedio al declino economico in Vallonia. Hanno portato all’istituzione di un federalismo inefficiente e centrifugo. Occorre ricordare che l’essenza del federalismo è unire (non unificare) componenti diverse? Tuttavia, è innegabile che queste riforme non abbiano promosso l’unità dei belgi, né l’efficacia dello Stato. Con la quasi totale scomparsa dei partiti nazionali e l’insediamento di comunità che da tempo si voltano le spalle, sono cresciute differenze di vecchia data tra i belgi del nord e del sud, che troppo spesso si ignorano o si fraintendono. L’autonomia culturale non ha favorito l’apprendimento dell’altra lingua nazionale, né di una storia comune, né ha favorito una migliore conoscenza reciproca. Anche l’assenza di una terza comunità, molto più grande di quella dei belgi di lingua tedesca, ha indubbiamente complicato l’incontro faccia a faccia.

Sappiamo che l’attuale difficoltà di formare una maggioranza federale trova la sua origine nella crescente polarizzazione tra una nazione delle Fiandre ancorata a destra e una Vallonia che vota principalmente a sinistra. La frattura rivela il nocciolo del problema esistenziale del Belgio. Questo movimento centrifugo è alimentato dalla mutua demonizzazione del primo partito di ogni comunità, che funge da contraltare. È significativo, inoltre, che la demagogia populista si esprima ai due estremi opposti dello spettro politico, all’estrema destra al nord e all’estrema sinistra al sud. Ad aggravare la difficoltà, i movimenti centristi meglio in grado di facilitare la giunzione non sono più nella maggioranza.

Paradossalmente, questa polarizzazione tra le due comunità sottolinea la grande utilità, il carattere assolutamente indispensabile dello Stato federale. Il federalismo contribuisce in effetti a controbilanciare le tendenze agli estremi in atto in ciascuna di esse: il nazionalismo etnocentrico che dominerebbe le Fiandre indipendenti, e lo statalismo in una Vallonia lasciata a se stessa che potrebbe portarla alla bancarotta. La scomparsa della solidarietà nazionale con la divisione molto graduale della sicurezza sociale sarebbe ovviamente drammatica per i francofoni.

Come l’arcigno naso del separatismo, il confederalismo nasconde gli stessi pericoli. Anche se si presentasse sotto forma di limitate concessioni per formare una maggioranza federale, si metterebbe in moto una dinamica irreversibile, fatale per il futuro del Paese. Il confederalismo è infatti proposto per scopi tattici, ma sarebbe solo un passo intermedio prima dell’indipendenza delle Fiandre. Trasformerebbe lo Stato in un guscio vuoto in attesa della condivisione del debito pubblico e del regolamento del destino di Bruxelles.

Una Vallonia indipendente o un attaccamento alla Francia non sono assolutamente opzioni allettanti e ottengono solo il favore di una piccola minoranza di valloni. Anche l ‘evaporazione in Europa è una pericolosa illusione. Europa, la grande patria, anche completamente integrata, dipenderà necessariamente dai suoi stati membri.

Spetta ai belgi rendere più efficiente lo Stato federale semplificando le istituzioni, in particolare da parte francofona. È inoltre imperativo rafforzare il legame federale attraverso una migliore conoscenza tra i concittadini del Nord e del Sud. Ma i belgi non sono neanche ciechi. Hanno dimostrato di saper affrontare la causa principale del populismo: identità e insicurezza sociale.

Un tale programma di riforma richiede ovviamente coraggio e lungimiranza, ma è essenziale se vogliono fornire un futuro unitario al Paese. Alimenterà un rinnovato sentimento nazionale, anche se questo si esprimerà in forme diverse tra Nord e Sud.

Edith Debord

“When The Going Gets Weird, the Weird Turn Pro”

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