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Con così tanti alienati da Westminster, non dovrebbe sorprendere che l’indipendenza del Galles stia guadagnando forza

Il supporto per l’autodeterminazione del Galles è aumentato

“Siamo stufi. È un sistema che non funziona per noi, l’abbiamo sempre saputo. Ma di recente le cose sono state messe ancora di più in evidenza, specialmente con la Brexit e non cambierà nulla se non facciamo qualcosa a tal proposito. ”

 

Queste sono le parole di Deiana Timms, ventottenne di Llangollen, durante l’All Under One Banner di Cymru, il corteo svoltosi sabato a Cardiff a sostegno dell’indipendenza per il Galles.

 

È l’esito di un processo articolato che ha visto l’attività indipendentista in Galles crescere dai confini del Plaid Cymru a un movimento trasversale che abbraccia più partiti e che ha portato più di 2.000 persone nelle strade di Cardiff.

 

Gli indipendentisti dicono: Westminster non sta funzionando né lavorando nel nostro interesse.  Se l’establishment politico non agisce per conto nostro, troveremo qualcun altro che lo faccia.

 

È espressione di una alienazione che sta disgregando la politica tradizionale. In un certo senso, è la stessa mentalità che ha guidato l’ascesa del populismo. Ma piuttosto che il nazionalismo che dilaga nel resto dell’isola, il DNA all’interno del movimento indipendentista gallese è liberale e internazionalista.

 

I momenti che portarono a una devoluzione in Galles si svilupparono in un arco di 18 anni di governo conservatore a Westminster, durante il quale molte delle principali industrie del Galles crollarono e chiusero.

 

Per molti, il periodo segnò la scomparsa di una pretesa che il Galles fosse qualcosa di diverso di una risorsa per il governo, messo là per essere saccheggiato quando le condizioni economiche erano favorevoli e abbandonato quando non lo erano.

 

Gli anni ’80 hanno ceduto il passo agli anni ’90, e forse era inevitabile che decisioni riguardanti il Galles dovessero essere prese in Galles. Era già stato fatto in un altro modo, e non aveva funzionato.

 

L’Assemblea si era quindi riunita per la prima volta, la nazione si era vista restituire aree politiche chiave per il paese e il Galles aveva iniziato a sviluppare una mentalità più sicura di sé.

 

Due decenni più tardi, abbiamo una situazione che è strettamente parallela alle circostanze che portarono il Galles a decidere di riappropriarsi di una parte dei suoi poteri: 10 anni di austerità che hanno spinto centinaia di comunità gallesi nella morsa della povertà, un processo che sta lasciando vaste aree della popolazione abbandonate e se stesse che si sentono come se a nessuno importasse di loro.

 

C’è chi fa notare che il 19% sarebbe un’ottima percentuale per il supporto pro-indipendenza, ma un sondaggio del 2018 suggerisce il 10% come posizione più accurata. L’Università di Cardiff lo scorso mese ha parlato di un 12%.

 

Sì, è una minoranza. Ma significativa. Il fatto che una persona su 10 ora creda che il Galles debba essere indipendente è un dettaglio troppo grande per essere definito trascurabile. Sostenere l’indipendenza del Galles è una posizione predominante, seppur minoritaria.

 

Poi ci sono quelli che sostengono che l’impossibilità economica del Galles di operare come stato indipendente renda il dibattito irrilevante. Trovare un accordo politico che separi il Galles dal Regno Unito con la Brexit sempre presente sarebbe come mettere in ordine una borsa troppo ingombrante.

 

Ciò non significa però che non ci siano ragioni per non parlarne. Un post sul blog dell’accademico Martin Johnes sul corteo di sabato di AUOB evidenzia un punto: “Un nuovo Galles è un’opportunità per una nuova economia e una nuova società costruita attorno a principi di sostenibilità, uguaglianza e benessere. È un’opportunità per ripensare ai nostri principi fondamentali e ricominciare da capo: anche avere un dibattito sull’indipendenza può contribuire a produrre cambiamenti perché ci sfida a farci domande e a riconsiderare il modo in cui organizziamo il nostro mondo”.

 

C’è un punto chiave qui che aiuta a spiegare perché i sostenitori dell’indipendenza sono una forza più grande nella politica gallese di quanto suggerisce la cifra del 12%.

 

Coloro che credono che il Galles dovrebbe essere fin da subito indipendente sono fiduciosi nella capacità economica e politica dello stato di poter stare in piedi da solo in questo momento.

 

Ma dietro di loro c’è un numero molto maggiore di persone attratte dall’idea dell’indipendenza, ma che si sentono cauti sul fatto di poterla gestire una volta ottenuta. L’atmosfera del dibattito politico e l’incapacità di tutte le parti di offrire una visione politica inclusiva negli ultimi anni – e negli ultimi mesi in particolare – sembrano aver alterato il modo di pensare di molte persone politicamente moderate in Galles, che in precedenza mai avrebbero avuto un’opinione fissa sull’indipendenza.

 

Coloro che sono fermamente contrari al processo è improbabile che abbiano cambiato idea. Ma quelli che si sono chiesti se il gioco valesse la candela, ora sanno da che parte schierarsi.

Let

Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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