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Maggio 1981, quaranta anni fa

Anthony McIntyre riporta la sua mente indietro di quarant'anni allo sciopero della fame del 1981.

Ieri [l’articolo è stato pubblicato il 2 maggio, ndT] ho parlato durante un piccolo evento per il Primo Maggio a Dublino. Ho scelto di parlare improvvisamente, interessato a ciò che sarebbe potuto venire fuori, a braccio; volevo capire quali sarebbero stati i miei pensieri grezzi.

Con il mio corpo ben nutrito e sovrappeso mi trovavo ai piedi della statua di James Connolly e parlavo dell’emaciato Bobby Sands che quattro decenni prima aveva ancora solo pochi giorni di vita, mentre il mio collega sindacalista Damien Keogh deponeva una corona di fiori. Entrambi gli uomini, a 65 anni di distanza, morirono durante la custodia britannica.

Quarant’anni fa oggi era un sabato nei Blocchi H di Long Kesh. Fisicamente, l’ambiente era più confortevole rispetto alle tre estati precedenti, quando la protesta No-Wash era dapprima in corso e poi proseguiva a tutto gas. Un maggiore benessere fisico non potrà mai compensare il deficit causato dall’angoscia mentale che accompagnava quel periodo. Bobby Sands era proprio al limite della vita e lo sapevamo tutti. Era solo un gioco d’attesa. Anche coloro che credevano nei miracoli capirono che non c’era modo di capovolgere la situazione.

Dixie Elliot scrive con passione e intensità sugli eventi del tempo. In momenti diversi ha condiviso la cella con due degli uomini che sarebbero poi morti: Bobby Sands e Tom McElwee. Non posso leggere i ricordi di Dixie Elliot senza sentire, allo stesso tempo, gli urli proveniente dai blocchi in protesta. La sua scrittura ha un impatto uditivo su di me. La maggior parte della nostra conversazione, all’epoca, avveniva gridando. Era l’unico modo per essere ascoltati in un mondo di muri di cemento e porte d’acciaio. Avremmo chiamato un compagno blanketman chiuso da qualche parte nell’ala del carcere con l’apertura universale delle proteste: “Stai ascoltando?” Una risposta affermativa dava il via libera all’inizio della conversazione urlata. E quando c’erano parecchie convesazioni contemporaneamente… era il frastuono.

Un silenzio pesantemente sommesso scese come nebbia il giorno in cui Bobby morì.

Quel sabato ero in cella con Laurence McKeown; il suo umore non era più leggero del mio. Laurny, come lo conoscevamo – o occasionalmente “il Grande Faraone” a causa della sua altezza e della forma della sua barba – avrebbe poi intrapreso lo sciopero della fame. Se non fosse stato per l’intervento di sua madre, Margaret, sarebbe morto. Era rimasto 70 giorni senza cibo prima che lei gli dicesse una frase, poco prima che perdesse conoscenza: “Tu sai cosa devi fare e io so cosa devo fare”.

In seguito, venne a trovarmi in prigione. Una donna riservata, perspicace e determinata, non mi ha sorpreso che avesse fatto ciò che doveva. Eppure, sento che lo stress dello sciopero della fame ha avuto il suo peso su di lei ed è morta troppo presto, solo due anni dopo che si era concluso. L’unica consolazione, se una parola del genere è appropriata, è che ha lasciato questa vita senza dover subire la perdita di suo figlio.

Mia madre in seguito mi disse che negli ultimi giorni dello sciopero della fame di Laurny aveva sentito i coperchi dei bidoni sbattere nella tenuta di Twinbrook dove viveva e dal quale proveniva Bobby Sands. Cominciò a piangere, pensando che Laurny fosse morto.

Conoscevo bene Laurny. Il suo non era un gioco di rischio calcolato o sotterfugi. Il fatto che sia vivo oggi, è stata una scelta di sua madre piuttosto che sua. Alla fine dello sciopero della fame era in coma e incapace di fare qualsiasi scelta.

Dixie Elliot ha sottolineato il fatto che, in relazione all’interrotto sciopero della fame del 1980, non avrebbe mai criticato quelle persone che, a differenza di Laurence McKeown, hanno scelto di non fare il passo finale. È un sentimento che appoggio completamente. Per coloro che non sono morti, ma che hanno sopportato 53 giorni di fame, meritano la mia più profonda ammirazione. Non c’è alcun diritto che possiamo far valere per l’obbligo da parte loro di essere morti per nostro conto.

I pensieri fugaci di cui sopra, e altri ancora, hanno alimentato senza un particolare ordine di priorità una memoria del tempo vagamente strutturata e incompleta. Mentre ci avviciniamo al 5 maggio, anniversario di Bobby, un pensiero ricorrente si sta salendo sempre più in primo piano. Richard O’Rawe ha a lungo contestato la narrativa secondo cui i prigionieri avrebbero controllato lo sciopero della fame, sostenendo in modo persuasivo che i chiari desideri della leadership carceraria erano stati respinti per consentire a qualche altro programma di procedere. La prova di ciò è radicata negli eventi che circondano la morte di Joe McDonnell e degli altri hunger striker. Ora, sembra proprio che anche i desideri di Bobby Sands siano stati ignorati.

La sorella di Bobby Sands, Bernadette, in un elogio alla madre dopo la sua morte nel 2018 ha dichiarato:

Allo stesso modo, nei giorni che seguirono la morte di Bobby, lei ripose la sua fiducia in coloro di cui anche lui si era fidato. Lasciandoli organizzare il suo funerale. Fiducia è la parola pertinente ed è stata quella fiducia che anni dopo è stata tradita quando la nostra famiglia recentemente è venuta a sapere, attraverso documenti visionati negli Archivi Nazionali, che gli ultimi desideri di sepoltura di Bobby, che all’epoca non ci erano stati resi noti, non erano stati esauditi e questo ha aggiunto ulteriore dolore alla famiglia.

La bara di Bobby Sands avrebbe dovuto essere trasportata esattamente secondo i suoi desideri, non sulle istruzioni di una masnada di “portatori di bare”.

Chi è Anthony McIntyre

Anthony McIntyre è un ex volontario dei Provisional IRA, scrittore e storico. È cresciuto nella zona nazionalista di Lower Ormeau Road, South Belfast.
È stato incarcerato per 18 anni nella prigione di Maze per l’omicidio del membro dell’Ulster Volunteer Force (UVF) Kenneth Lenaghan avvenuto nel 1976. McIntyre sparò al 35enne Lenaghan da un’auto in corsa mentre si trovava fuori dal Victor’s Bar a Donegall Pass, South Belfast. McIntyre passò quattro di quegli anni praticando la Dirty Protest.
Dopo il suo rilascio dalla prigione nel 1996 ha completato un dottorato di ricerca in storia presso la Queens University di Belfast e successivamente ha lavorato come giornalista e ricercatore.
Una raccolta di suoi articoli è stata pubblicata come libro nel 2008 con il titolo “Good Friday: The Death of Irish Republicanism”.
McIntyre è stato coinvolto nel progetto di storia orale del Boston College sui Troubles, conducendo interviste ad ex membri dell’IRA come Brendan Hughes e Dolours Price e a lealisti come David Ervine. Le interviste sono state la base per il libro “Voices From The Grave: Two Men’s War in Ireland” di Ed Moloney. Nel 2011 McIntyre è stato trascinato nelle polemiche quando le trascrizioni delle interviste, custodite dal Boston College, vennero citate in tribunale dalla PSNI in relazione a un’indagine sul rapimento e l’uccisione di Jean McConville nel 1972.
Antony McIntyre è un importante critico dello Sinn Féin e della sua leadership.

René Querin

Di professione grafico e web designer, sono appassionato di trekking e innamorato dell'Irlanda e della sua storia. Insieme ad Andrea Varacalli ho creato e gestisco Les Enfants Terribles.

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