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Libro e la polemica: “Rough Beast: My Story & the Reality of Sinn Féin”, di Máiría Cahill. Nipote del comandante dell’IRA Joe Cahill

Lotta contro la mafia dell'IRA, scrive su The Critic Ruth Dudley Edwards

Mentre leggevo lo sconvolgente e appassionante libro di memorie della mia amica Máiría Cahill, che racconta di essere cresciuta in un’enclave di Belfast gestita da repubblicani totalitari che proteggevano coloro che abusavano dei bambini, ho provato quasi pena per Gerry Adams. Lo trovo detestabile fin dagli anni ’70, quando si è messo in luce come il più abile apologeta dell’IRA. L’autrice ha persino avuto la sfacciataggine di ridicolizzare i punti deboli di Adams. Sebbene abbia passato decenni a sostenere assurdamente di non aver mai fatto parte dell’IRA, di cui era uno spietato leader, si crogiola nella sua reputazione di pacificatore acclamato da presidenti e primi ministri. Come poteva sapere che Máiría, che conosceva da sempre, nipote prediletta di Joe Cahill, uno dei fondatori dell’IRA provvisoria ed eminenza grigia di Adams, si sarebbe trasformata in uno dei suoi nemici più formidabilmente intelligenti e pericolosi? Avrebbe persino la temerarietà di individuare e ridicolizzare i suoi punti deboli. Non è solo il male che Adams ha fatto a renderlo così insopportabile per i suoi critici. Martin McGuinness era un uomo altrettanto cattivo, ma non era moralista, untuoso, viscido, pomposo e vanitoso. E non scriveva nemmeno atroci romanzi sentimentali e autobiografie mendaci e ventose. Máiría, cresciuta nel culto dello Sinn Féin in quella che odia essere descritta come “regalità repubblicana”, conosceva Adams come amico di famiglia. La sua fiducia in lui e in molti dei suoi colleghi è stata erosa dalla loro insensibilità quando hanno saputo che dall’età di 16 anni, per più di un anno, è stata violentata e disgustosamente abusata sessualmente dal compagno di sua zia, Martin Morris. Era un membro della “Civil Administration Unit” dell’IRA, un nome gentile per le “squadre punitive” il cui compito era quello di torturare e mutilare i giovani con spranghe di ferro, mazze da baseball e pistole per metterli in riga. Studentessa di talento, abbandonò gli studi. Quando l’IRA venne a conoscenza di ciò che Morris le aveva fatto, aspettò che compisse 18 anni e poi la terrorizzò con cinque mesi di interrogatori, durante i quali gli uomini di peso le chiesero i dettagli più intimi e umilianti (“Quante dita ha usato?”). Nonostante le sue suppliche, inscenarono un confronto. Tre membri dell’IRA guardarono Morris mentre inveiva e le giurava che era “una fottuta bastarda bugiarda”. Decisero che non era stata provata la sua colpevolezza e lo lasciarono continuare a girare per il quartiere come promotore dello Sinn Féin sulla riforma della polizia e sulla giustizia riparativa comunitaria. Máiría avrebbe avuto anni di malattia fisica e mentale. “Era simile a vivere in una setta”, scrive, “perché si diventa così condizionati a vivere in una bolla di pensiero di gruppo che una persona non riesce a vedere una vita al di là di essa… Sapevo che dovevo uscirne se volevo avere qualche possibilità di sopravvivenza. Ora, il pericolo più grande per me non era l’IRA o chi abusava di me, ma la mia stessa mente”.

Poi ha preso il controllo, ha sfidato la leadership repubblicana andando alla polizia. Quando la polizia ha sbagliato le indagini, ha raccontato la sua storia in un documentario televisivo. Nonostante gli abusi orchestrati e feroci sui social media, è diventata un’editorialista e una figura pubblica. In particolare, però, ha avuto poco sostegno dall’establishment femminista o dall’industria dei diritti umani.

Il titolo del libro, “Rough Beast”, deriva da “The Second Coming” di W.B. Yeats. Questa poesia fu scritta in un periodo di sconvolgimenti europei, tra cui la Rivoluzione russa e l’inizio della guerra civile nota come Guerra d’indipendenza irlandese. “E quale rozza bestia, giunta finalmente la sua ora, / si muove dinoccolata verso Betlemme per nascere?”, si chiede. La domanda ha un duplice scopo: è rivolta a Morris, ovviamente, ma anche allo Sinn Féin, negazionista senza riserve dei crimini dell’IRA. Il partito rivendica già il titolo di Primo Ministro nell’Irlanda del Nord ed è indicato per guidare il prossimo governo nel sud. Gli elettori irlandesi, avverte Máiría, “potrebbero scoprire che l’erba non è più verde nelle mani di un partito repubblicano che calpesta e divora tutto ciò che incontra”. Ecco un consiglio per i librai. Offrite un pacchetto di Rough Beast e Milkman, il superbo romanzo di Anna Burns, vincitore del premio Orwell e del Man Booker Prize, su un diciottenne che vive in un’enclave totalitaria. Lì, secondo le parole di Máiría, “la brutalità era diffusa come le voci che giravano su di lei e si svolgevano tribunali canguro per “un quarto di stupro””, mentre “le forze dominavano ed esercitavano il potere sulle persone che cercavano semplicemente di andare avanti con la vita”.

Ora qualcuno potrebbe scoprire cosa ha spinto gli editori a commettere l’imperdonabile peccato di pubblicare uno dei più importanti libri di saggistica mai scritti sull’Irlanda del Nord – senza un indice?

Milkman, il romanzo di Anna Burns: storia di una diciottenne a Belfast durante i Troubles

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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