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Il lato sinistro del cuore

Mi feci dare l’elenco dei corsi a cui si era iscritto. La maggior parte erano corsi ordinari, frequentati da decine di persone, ma ce n’era uno speciale, le cui lezioni si tenevano nello studio del professore. Ci andai quella mattina stessa. Gli studenti erano sei. Non feci fatica a trovare chi lo conosceva meglio.
“Posso confermarglielo, Alessandro era il tipo più strano che avessi mai conosciuto. Chissà, forse stava proprio lì il suo fascino… io un po’ mi ero innamorata, sa?”
Non avevo intenzione di ascoltare un’altra volta tutti i pregi dello studente, ma la ragazza, con i gomiti appoggiati al tavolino del bar e il mento sulle mani, fissava un punto lontano, con gli occhi sognanti e non ebbi il coraggio di interromperla.
“Era così… così dolce. Uno dei ragazzi più buoni del mondo. Voleva andare a fare l’ingegnere nel Mato Grosso, dopo la laurea, gratis”.
“Non lo ha mai visto… non so, violento?”
“Alessandro? vuole scherzare. Non avrebbe fatto male ad una mosca. Sembrava un bambino certe volte, così indifeso… l’ho visto piangere una volta che mi sono incazzata e gli ho gridato addosso, povero Alessandro. Sì, davvero, un po’ mi ero innamorata. Ma c’era quell’altra”.
“L’altra?”
“Quella ragazza… bella, bellissima. Così diceva lui, almeno, perché io non l’ho mai vista. Però che l’amava si capiva benissimo, e allora mi sono messa il cuore in pace… dopo essere stata male per un po’. Bè… adesso lui non si è più fatto vedere all’Università, così… sa come si dice, occhio non vede…”
“E non sa dove potrebbe essere? non ha un numero di telefono, un recapito, l’indirizzo di un amico…”
“No. Non l’ho più cercato, io… però c’è una ragazza che l’ha visto, una volta, sulla veranda di uno di quei capanni con le reti che stanno sui canali, dalle parti del mare”.
“Dove?
“Non lo so, non gliel’ho chiesto. Se vuole le do il numero della mia amica”.
Lo volevo. Era un numero di fuori città, dove era tornata per delle supplenze. Aveva un cognome così complicato, l’amica, che dovette scrivermelo la ragazza, dopo avermelo ripetuto tre volte. Sorrise mentre scriveva sul mio taccuino, sopra i numeri del prefisso.
“Non è curioso? è proprio così che è cominciata con Alessandro. Non riusciva a scrivere un nome, a lezione e l’ho fatto io. Pensi che in tre mesi di corso non si era accorto nessuno del suo problema…”
“Che problema?”
“Quel disturbo… come si chiama? quello per cui non puoi scrivere. Alessandro aveva la calligrafia di un bambino di cinque anni… illeggibile, orrenda. Era una cosa di cui si vergognava moltissimo. Sapesse quanto ci ho messo per fargli accettare le fotocopie dei miei appunti…”.
Appena fuori dal bar mi precipitai nella prima cabina che vidi e feci il numero di Rita. La voce del pittore smorzò tutto il mio entusiasmo.
“Pronto? chi parla?”
Avrei voluto sbattere giù, stordito da una rabbia sorda che mi ronzava nelle orecchie. Strinsi i denti, invece e battei un colpo secco sul plexiglas azzurrato della cabina, col pugno a martello.
“Cerco la signorina Rita. Sono…”
“Oh sì, l’investigatore, certo… Rita non può venire al telefono in questo momento. Cosa voleva dirle?”
“Niente… cioè, no… io credo, anzi, sono sicuro… insomma, so chi è il bastardo che la tormenta. È quello studente, come si chiama…”
“Alessandro”.
“Sì, Alessandro. È pazzo, è scomparso, si intende di meccanica tanto da sabotare una macchina e non riesce a scrivere! ecco perché le ha bruciato la cassetta della posta, perché è geloso e odia chi sa scrivere!”
“Non ho capito una parola di quello che ha detto, ma non importa. L’investigatore è lei, sa cosa fare. L’aspettiamo per le sette, questa sera”.
“Per le sette?”
“Io vado a Milano. Starò via due giorni. Rita non vuole essere lasciata sola questa notte, dopo l’ultima telefonata… le ha detto della telefonata, vero?”
Me lo aveva detto. Troia, come al solito e poi ti ammazzerò e nient’altro.
“Io ero contrario, perché resto ancora dell’idea che siano tutte sciocchezze, ma lei ha insistito e quindi voglio che venga qui, questa notte e che ci resti. Senta un po’… si ricorda la domanda che volevo farle l’altro giorno? e lei mi disse che Rita non era il suo… genere? vorrei rifargliela, quella domanda. Che mi dice, investigatore?”
Non gli dissi niente. Mormorai soltanto “vengo alle sette” e riattaccai.
“Ciao”.
“Ciao”.
“Non chiudere a chiave la porta. Ci sono io qui fuori”.
“No, va bene…”

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Appunti di una crociata contro la parola intesa e interpretata come ribellione al diluvio verbale che segna la deriva dei nostri giorni. L’occhio avido del giornalista si tuffa in un luogo chiuso a tutti gli sguardi e profana il tempio dei silenzi dell’ultra-nazionalismo in Europa. Un Candide del terzo millennio che esplora, dissacra e perturba.

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